Regia di Syllas Tzoumerkas vedi scheda film
Grecia, oggi. Una donna, un incendio. Dei sensi e, soprattutto, dei punti cardinali.
Può sembrare affermazione scontata, ma il cinema ellenico possiede una sua classicità, o almeno si pone alla sua costante ricerca. Con esiti altalenanti: se con Miss Violence Avranas costruiva un raggelante e soffocato dramma, nel solco di una vera e propria tragedia greca, se Lanthimos preferisce gettare semi di ere lontane in un futuro indefinito o in spazi senza tempo e riferimenti, questo A blast di Syllas Tzoumerkas cala gli echi del passato in un altrettanto drammatico recinto socio-economico, che è quello della Grecia spaurita e senza difese di questi anni ingloriosi.
Crisi economica e crisi personale si saldano nella figura di Maria, giovane madre anaffettiva, moglie passionale e innamorata. Un incendio (l’esplosione del titolo) sembra dettarle una via d’uscita facile e redditizia. Ma le fiamme, anche e soprattutto metaforiche, avvolgeranno le certezze e sposteranno gli obiettivi versa la ricerca di una felicità totalizzante che permane quale mera meteora in un contesto di generale privazione ed infelicità.
L’andamento del film è discontinuo: dialoghi stranianti e di bassa consistenza (gli scambi tra le due sorelle, ugualmente vinte da un tarlo che ha molto di indefinibile, le incomprensioni familiari circa la portanza economica della piccola attività ed i dubbi che si insinuano profondi sulla cifra morale della madre, accusata di fingere anche un’invalidità), lunghe scene di sesso, rivestite della patina del flashback, a sancire quella che resta l’unica probabile esperienza forte di una vita persa tra viltà, solitudini e incapacità di fronteggiare l’oggi e il domani, frammenti di vita quotidiana che trasmettono l’angoscia buia di un popolo diseredato e vinto. Elementi contraddittori e pregnanti che potevano saldarsi ed assicurare al film un continuum emozionale di grande presa e che, invece, restano purtroppo alquanto distinti, registri narrativi un po’ a compartimenti stagno, soprattutto inadatti a provocare in chi guarda il giusto grado di immedesimazione e passione.
Se non proprio un’occasione persa, un’opera rivedibile, forte quando inocula la tristezza negli occhi della protagonista assoluta (una maiuscola Angeliki Papoulia), arrancante quando sposta il mirino sui citati discorsi devianti: le stesse scene erotiche risultano avere un minutaggio eccessivo e si ripetono in loop, senza nulla aggiungere o togliere a quello che è il discorso a loro sotteso. Resta una forza di esposizione a suo modo classica ed una buona fede evidente che avrebbe avuto tuttavia bisogno di una sceneggiatura maggiormente fluida.
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