Regia di Bonifacio Angius vedi scheda film
Dramma dell'inadeguatezza e della solitudine che ci parla di un tempo e di un luogo in cui la mancanza di prospettive sociali ed economiche è diventata ormai endemica, e dove l'incomunicabilità generazionale diventa il paradigma di una pandemia demografica che disgrega le famiglie e riduce i superstiti a muti derelitti di un destino senza speranza.
Rismasto da solo con l'anziano padre dopo la morte della madre, il 35 enne Angelino vive in uno stato di totale indolenza ed apatia, incapace di trovare un lavoro o di dedicarsi ad altre attività che non siano frequentare il bar di sfaccendati in cui passa le giornate ed il letto di casa in cui trascorre gran parte del tempo assorto nelle romantiche fantasticherie di chi non ha mai avuto una ragazza od un amico sincero. Quando anche il padre viene a mancare, colto da un ictus improvviso che lo lascia paralizzato, la sua inesorabile deriva umana e sociale diventa tragicamente irreversibile.
Qui praticamente alla sua opera d'esordio (dopo il corto 'allungato' ed autoprodotto di SaGràscia), il giovane Bonifacio Angius punta in alto con questo dramma dell'inadeguatezza e della solitudine che ci parla di un tempo e di un luogo in cui la mancanza di prospettive sociali ed economiche è diventata ormai endemica, e dove l'incomunicabilità generazionale diventa il paradigma di una pandemia demografica che disgrega le famiglie e riduce i superstiti a muti derelitti di un destino senza speranza.
Appesantito da un impianto drammaturgico che cerca di combinare le istanze del realismo sociale con i voli pindarici di una dimensione esistenziale di cupa disperazione, il film del giovane regista sassarese è un pugno allo stomaco alle convenzioni retoriche e consolatorie del recente cinema italiano, ma nello stesso tempo sembra mancare il segno proprio nella incapacità di fornire un adeguato tessuto narrativo all'ambizioso ordito del quadro sociale che vorrebbe dipingere, facendo rimbalzare il suo straniato e catatonico protagonista tra i muti santuari di una prigionia urbana di luoghi comuni, tra una casa vuota e priva di affetti ed un capolinea di esistenze derelitte sotto le luci al neon di un classico ritrovo per sfaticati perdigiorno, tra un letto dove rimuginare le sterili fantasie di un'esistenza possibile e le pendici di una falesia quali colonne d'Ercole di una dimensione geografica senza porti d'imbarco da cui prendere il largo. Più che dalle parti del nichilismo cosmico del Bela Tarr di Perdizione e non ostante l'insistenza del voice-over e dell'irruenza dei rumori d'ambiente sul grottesco non sense dei dialoghi, quello di Angius è un cinema affascinato dalla cifra politica delle sue conclusioni, un quadro di desolazione civile in cui è preclusa qualunque possibilità di un testamento etico e morale da lasciare in eredità ai propri figli e dove le miserie nepotistiche di una vita pubblica ormai ridotta al velletario teatrino di una campagna elettorale fai-da-tè sono il sintomo di un irreversibile declino di una civiltà residuale che ha smarrito non solo il significato della convivenza pubblica ma perfino il valore e l'importanza degli affetti privati. La morte (o l'uccisione) del padre quindi come testimonianza contingente della crisi civile di un Paese che ha sperperato il proprio patrimonio di tradizioni e di valori, che ha fatto terra bruciata attorno a sè ed ha abbandonato i propri figli alla inebetita insipienza di un'estistenza da buttare, gettone dopo gettone, dentro una stupida macchinetta mangiasoldi ("Sto boicottando il XX secolo. E' sopravvalutato e non mi dispiace per niente lasciarlo. Sono un vecchio uomo ateo. Un residuo tossico del modernismo...del post-Illuminismo...e ti lascio nelle mani del nuovo secolo senza averti insegnato nulla." - Attenberg -2010 - Athina Rachel Tsangari). Non ostante le già citate debolezze della narrazione ed un certo squilibrio tra la coerenza naturalistica del racconto ed alcuni spunti che divagano tra il grottesco ed il surreale, il senso complessivo di quest'opera, cupa e disturbante, basta da sola a decretarne le possibilità di successo presso chi voglia concedergli il beneficio del dubbio e dell'ingenuità di un esordio 'difficile'. Bravo Stefano Deffenu nel ruolo di Angelo e bravissimo Mario Olivieri in quello del padre Peppino. Meritato Premio Giuria Giovani come miglior regista a Bonifacio Angius al Festival di Locarno 2012.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta