Regia di Bonifacio Angius vedi scheda film
(Non) vita di Angelino Manunta, trentacinquenne della periferia universale di Sassari. Un inetto, un’ameba che trascina una grigia esistenza senza emozioni, senza sentimenti. Una sorta di autistico sociale dall’espressione idiota più che triste. Dopo aver perso la madre, Angelino vive col padre: uomo intraprendente e interessato al futuro del figlio con mezzi desueti, frequenta amici beoni, ipocriti e balordi. Il padre si candida alle comunali, ha un ictus…
Il soggetto di PERFIDIA sembra estratto da un cassetto rimasto chiuso per trent’anni. Nasce già vecchio, fuori tempo e luogo. Assomiglia a un articolo 28 di venticinque anni fa e ad uno di quegli inutili film minimalisti del periodo, mentre oggi vengono invitati tranquillamente ai festival dandogli (ahinoi) una patente autoriale. Rappresentare, ritrarre la tristezza, l’accanimento terapeutico di una vita sbagliata è un’arte e va saputa fare (Bela Tarr o Aristakisjan sono modelli irraggiungibili), PERFIDIA è lontano anni luce da quell’ambizione. E’ solo brutto e insensato - come i movimenti, i gesti e i dialoghi del protagonista. Una ripetizione continua di frasi come un rosario o un discorso reiterato e retorico su Gesù recitato fanaticamente da Radio Maria. Di PERFIDIA (intesa come malvagità del sostantivo) non v’è traccia alcuna, persino nella sparizione di un cadavere. E’ tutto un girare a vuoto insignificante, con una serie di azioni incomprensibili e futili (buchi di sceneggiatura) che ribadiscono la drammaticità e il disadattamento di un ragazzo e del mondo che lo circonda, una realtà lobotomizzata e dallo stato catatonico. Gli scenari e la tecnica passano irrimediabilmente in terzo piano. Idem l’ottima interpretazione di Mario Olivieri (il padre). Bonifacio Angius, dispiace dirlo, fa compiere una clamorosa e deludente retromarcia alla presunta Nouvelle Vague sarda, forse già compromessa dal sopravvalutato SU RE di Columbu.
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