Regia di Alejandro Hidalgo vedi scheda film
Cinema povero, ambientato in quartieri dove a regnare, incontrastata, è solo la miseria. Miseria umana, più che economica. Dove la vita procede nella monotonia di un tempo che nulla muta. E proprio in forza di questa naturalezza, di questa semplicità, il risultato finale è di prestigioso valore.
L'11 novembre del 1981, in una tetra e sporca dimora di un povero quartiere venezuelano, Dulce (Ruddy Rodríguez) viene tratta in arresto con l'accusa di avere ucciso il marito Juan (Gonzalo Cubero) e il piccolo Leopoldo, il cui corpo non verrà mai più rinvenuto. Forse ha agito a causa di uno stato depressivo, seguito all'incidentale morte del secondogenito Rodrigo. Nel 2011 la donna, ormai anziana, viene rilasciata dal carcere e confinata ai domiciliari, proprio nella casa in cui ha vissuto la drammatica esperienza. Don Mario (Efraín Romero) in passato amico dei figli, è l'unico che presta supporto morale a Dulce, recandosi a trovarla negli orari di visita consentiti. L'uomo di Chiesa, convinto dell'innocenza di Dulce, indagando nel locale archivio giornalistico, scopre che la casa è stata costruita nel 1931 da un massone inglese, Irahim Eckhart, in breve scomparso anch'esso con l'intera famiglia. Cosa accaduta poi ciclicamente, a trent'anni di distanza, ai vari inquilini, dopo che lo Stato -entrato in possesso del fabbricato- lo ha destinato a famiglie bisognose.
"Mi restano solo pochi giorni per lasciare questo mondo, ma il mio cuore non smetterà mai di battere senza la felicità che mi hai donato. Dà a nostro figlio il mio nome, ma dagli il cognome di tuo marito: Juan José è un uomo buono, non lasciarlo. Sarà il buon padre che io non sarei mai. Ogni volta che leggerai questa lettera, ricordati che ti starò sognando da un punto vicino, e lontano, dell'Universo: il Paradiso del tuo cuore. "(Lettera di Leopoldo, all'amata Dulce)
Primo horror venezuelano, scritto, prodotto e diretto dal raffinato Alejandro Hidalgo. Purtroppo, ad oggi figura anche la sua unica regia, nonostante l'ottimo riscontro ottenuto in patria, riconoscimenti ai Festival che lo hanno ospitato e addirittura l'acquisto dei diritti da parte della New Line Cinema, intenzionata a produrne un remake americano. Ambientato in un contesto di povertà e miseria, dove i ragazzini si pestano a sangue e fanno scherzi deprecabili (gavettoni di urina), House at the end of time più che un horror è un dramma decadente e malinconico. Un ritratto della condizione umana che sempre, nonostante le diversità di luogo o appartenenza a differente classe sociale, è destinata a ripetersi in un continuo (ri)ciclo di amore/tradimento/odio. La povertà è forse qui solo una scusa, colta al volo da Dulce, moglie repressa e desiderosa di essere ardentemente posseduta, che cade gioiosamente tra le braccia di un vero amante. Questa debolezza umana è la causa di una maledizione che poi si abbatte sull'intera famiglia, incrociandosi con gli effetti negativi di una casa costruita (lovecraftianamente) in un luogo specifico: un luogo dove il tempo sembrerebbe non rispettare le leggi fisiche conosciute. Per una singolarità o asincronia quantistica inesplicabile -forse dovuta anche alla potenza pitagorica dei numeri, visto che l'inattuabile si compie alle ore 11,11 dell'undicesimo giorno di novembre, in un anno che cade ogni trenta (ovvero 11/11/11/11)- il passato incontra il futuro, dando vita ad un presente ch'è un vero e proprio non sense o cortocircuito logico. L'ormai anziana Dulce, infatti, incontra nel 2011 non solo se stessa da giovane ma addirittura il figlio più anziano di lei, in arrivo dal 2071.
Lontano da fragorosi effetti speciali, da lussuose scenografie o da falsi concetti estetici di bellezza artefatta, Alejandro Hidalgo affonda lo sguardo nell'abisso dell'anima. Narrando di momenti non cronologici ma, impenetrabilmente, sincronici e coincidenti (tra passato, presente e futuro) viaggia sui binari dell'occulto decidendo di scendere giù, a picco, verso il fondo, dove sono presenti solo malinconia, tristezza e una vena di rassegnata accettazione circa l'impossibilità di sfuggire alla trappola più terribile riservata (da Dio o meno, poco importa) a tutti gli esseri viventi: il tempo.
"Gli occhi sono il nostro peggior nemico, perche non ci permettono di vedere aldilà." (Victoria, la veggente cieca, intrappolata tra i due mondi)
Un tempo per ogni cosa
"Per tutto c'è il suo tempo.
Per ogni cosa c'è il suo momento, sotto il cielo.
Oggi, 11 novembre:
c'è un tempo per nascere e un tempo per morire;
un tempo per uccidere e un tempo per guarire;
un tempo per demolire e un tempo per costruire;
un tempo per piangere e un tempo per ridere;
un tempo per abbracciare, un tempo per astenersi dagli abbracci;
un tempo per tacere e un tempo per parlare;
un tempo per amare e un tempo per odiare;
un tempo per la guerra e un tempo per la pace."
(Sermone alla cerimonia funebre del piccolo Rodrigo)
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