Regia di Ben Wagner vedi scheda film
Volete infierire sul prossimo in maniera tale da lasciare ferite irreversibili? Proponete la visione di Dead within in coppia con A quiet place: una doppietta micidiale che stenderebbe anche un cavallo, facendolo dormire a pancia in su'...
Mike (Dean Chekvala) e Kim (Amy Cale Peterson) stanno passando giorni difficili, alla stregua della sopravvivenza: sono stati costretti ad uccidere i loro cari a causa di una epidemia inspiegabile i cui infetti -divenuti aggressivi e violenti- hanno occhi completamente neri, come il sangue. Chiusi in un isolato capanno, tentano di procurarsi l'essenziale per andare avanti.
"Cerchiamo di capirci qualcosa...": così si pronuncia Mike, a proposito dei (non) eventi che si susseguono a ritmo zero nel film. Speriamo che quando ha compreso, lo spieghi anche a noi!
Ben Wagner: segnate questo nome su un taccuino nero ma nero, nero, nerissimo come gli occhi e il sangue degli infetti di Dead within, perché alla prossima occasione che lo trovate accreditato alla regia possiate evitare di imbattervi in un film inguardabile e completamente inutile. Come inutile, spento, vacuo e -molto- vago è questo incredibile pseudo horror. Dopo dieci minuti ti viene il sospetto di aver capito a cosa -come torturato spettatore- sei destinato. Porti pazienza e i minuti scorrono nel vuoto del testo e nel tedio di una regia improvvisata e da emicrania; dopo mezz'ora ti dici che no, non è possibile: qualcosa deve pur accadere. Passata l'ora, Kim tenta una modica spiegazione: "La fuori ci stanno i Trolls!" Cavolo, no! Allora è proprio vero: qui ci stanno tirando per i fondelli. Non potevano dircela prima, 'sta cosa dei Trolls, almeno avremmo abbandonato la visione ma ora, dopo sessanta minuti... siamo quasi costretti a subire sino alla fine, che arriva dopo un'altro quarto d'ora di patetici dialoghi e sfiancanti riprese sbilenche. Tutto girato con macchina mano, con continui stacchi di ripresa (sequenze inferiori ai dieci secondi) e senza alcuna variazione di location. Due sfigatissimi interpreti che tentano di dare un senso ad un lavoro che proprio -il senso- non ce l'ha. L'assedio in un appartamento non era una novità già dai tempi de L'ultimo uomo sulla terra, solo che il film di Ragona non solo era ben scritto, diretto e recitato ma è stato girato nel 1963. Non era una novità allora, potete quindi immaginare questo Dead within che scopre il tema dell'assedio, causa contagio da fine del Mondo, cinquant'anni dopo. Qui abbiamo una sceneggiatura scritta su un francobollo e una messa in scena tecnicamente in grado di provocare il mal di mare. Aggiungiamo al menù i soliti incubi e gli immancabili flash backes privi di qualunque senso narrativo (che manca poi a tutto il film). Ed ecco il solito prodotto usa (poco) e getta (subito) che si colloca nella brutta -e recente- tendenza di focalizzare l'azione in un frangente non meglio definito, senza preambolo esplicativo e ancor meno coda logica (yes, come il successivo, e a pari merito, A quiet place). Certo, visto il bel risultato, vorrei sapere a chi interessa conoscere il perché della situazione, magari rischiando di ritrovarsi un domani un prequel, diretto dal flemmatico e pigro (l'ultima regia di un film è del 2005) Ben Wagner. Prego Signore e Signori, accomodatevi nella baita di Dead within. Ma ricordate che una volta era solito dirsi, in aggiunta cautelativa: "Entrate a vostro rischio e pericolo."
Sotto: suggerimento di visione per un double bill indimenticabile
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