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Tempo massimo

Regia di Mario Mattòli vedi scheda film

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La recensione su Tempo massimo

di obyone
6 stelle

 

Mario Mattoli, produttore teatrale e cinematografico esordì alla regia per sostituire l’indisposto Carlo Ludovico Bragaglia alla direzione artistica del film “Tempo massimo”. Il film, girato presso gli studi CINES di Roma, uscì nel 1934 e fu il primo di una lunga e prolifica carriera che ne fece figura di spicco della commedia italiana, sia durante il fascismo, sia nel successivo dopoguerra.

Protagonista della pellicola è il giovane professorino Giacomo Banti (Vittorio De Sica) che vive con la ricca zia Agata proprietaria di una villa che affaccia sulle rive del lago di Como. Un giorno, mentre si appresta, come di consueto, a pescare dalla propria barca, il cielo gli fa dono della splendida ed effervescente Dora (Milly) che gli scombussola la giornata e la vita. Tanto è pazzerella e intraprendente la signorina Sandri, tanto è pacato ed inesperto di donne il professore, da sempre abituato a confrontarsi con orchidee, libri ed una zia che lo tiene sotto una campana di vetro, lontano dalle tentazioni del mondo. L’amore, però, lo porta a compiere azioni aliene alla sua indole tranquilla mandando all’aria l’educazione integerrima impartitagli sin dall’infanzia.

La commedia di Mattoli parte molto bene sin dal tuffo nel lago. La sequenza in cui i due giovani incrociano le strade è senza dubbio divertente quanto originale. De Sica, il cui mento è adornato da un’insolita barbetta, che gli conferisce un’aria d’annunziana di poeta gentile, è molto bravo nell’attribuire al suo personaggio l’ingenuità e lo stupore dell’uomo che per la prima volta approccia le donne e i dolci sapori della vita. Milly, dal canto suo, rende alla perfezione l’animo impulsivo e irrequieto di una ragazza che non ha intenzione di compromettere la propria libertà senza aver prima sperimentato ciò che il mondo può offrirle. La narrazione è scoppiettante almeno fino alla parentesi montana quando cioè Dora comunica a Giacomo di trasferirsi a Milano. Da quel momento, ovvero quando il principe Huerta (Nerio Bernardi), spasimante di Dora, approfitta della bonaria ingenuità di Giacomo per allontanarlo dalla ricca ragazza, la sceneggiatura di “Tempo massimo” inizia ad arrancare dietro la necessità di offrire una facile risata al pubblico. Gioco forza ne va di mezzo la plausibilità della storia e la profondità psicologica di cui il film aveva brillato nella prima parte. La lunga sequenza della corsa ciclistica è piuttosto puerile così come lo è il sorprendente approccio della cameriera Emilia (Anna Magnani) che scopriamo improvvisamente attratta dal professore. Mattoli, inoltre, rimane in superficie quando Giacomo si presenta presso Dora, sfoggiando un look ed una sicurezza che non gli sono propri. Per qualche motivo la scrittura non dà possibilità alla giovane Sandri di comunicare il proprio disappunto per l’inaspettato cambiamento del tenero spasimante, risolvendo frettolosamente la questione con una scenata di gelosia, senza che vi sia più modo di tornare sull'argomento.

La parte finale, prima dell’inevitabile lieto fine, a mio avviso, abbandona il tono della commedia garbata dei sentimenti cercando di attingere, con risultati altalenanti, alla comicità slapstick tanto in voga in America. Le acrobazie del vigile, il K.O. impresso al tassista e le furibonde manovre nel traffico a cui viene impressa un’accelerazione forzata fanno pendere l’ago della bilancia verso una comicità fracassona ed elementare che un po' stona con lo stile impresso alla pellicola fino a quel momento. Molto bella, invece, l’inquadratura dei due sposi che avviene attraverso la lente della macchina fotografica. Lo stratagemma adottato è brillante e permette di liquidare in breve tempo una rivendicazione d’amore che sarebbe stata alquanto noiosa. Il film di Mattoli è senza dubbio leggero, ha dietro di sé una scrittura scricchiolante, pur partendo da buoni presupposti, e asseconda tutti i cliché che piacevano al fascio come la trasformazione di un giovinetto in un uomo e la deprecabile morale straniera qui rappresentata dall'aristocratico spagnolo cacciatore di dote. Alcune aspetti, però, meritano di essere ricordati. La bravura di Camillo Pilotto che interpreta lo sconsolato e fedele maggiordomo Antonio, l’esuberante presenza della diva futura Anna Magnani e la rocambolesca fuga degli sposi in pullman trentatre anni prima che a renderla famosa fosse “Il laureato” di Mike Nichols.

 

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locandina

Tempo massimo (1934): locandina

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