Espandi menu
cerca
Corn Island

Regia di George Ovashvili vedi scheda film

Recensioni

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 207
  • Post 138
  • Recensioni 1158
  • Playlist 324
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Corn Island

di mck
9 stelle

Cambiamenti e Consolidazioni: Stagioni ed Età, Confini e Famiglie.

 

 

Tabula (pianeggiante/collinosa filospinata).
Isole galleggianti, flottanti/fluttuanti ma perenni (l'antropico arcipelago di isole semoventi della pre-incaiaca etnia peruviana degli Uros del lago Titicaca, poi inglobati, fusi, sostituiti da una ur-popolazione di lingua aymara), e isole ben ancorate al fondo e anzi direttamente sorgenti dal letto del fiume, ma effimere e stagionali [una delle temporanee “Isole del Granturco” (da non confondersi con l'omonimo arcipelago di due isole caraibico-nicaraguense), organismi di formazione naturale (bio-materiale) a guisa d'appezzamenti di (im)permeabile terra sabbiosa e fertile humus irriguo, alcuni dei quali per queste loro caratteristiche in séguito alla loro generazione vengono antropizzati dall'agricoltura e, per l'occasione, uno di essi è diventato il protagonista (in)animato e coltivato utilizzato come set dal regista georgiano George Ovashvili, classe 1963, per questa sua opera seconda, venentisi a creare tra le due rive dei grandi corsi d'acqua, nel caso in essere specifico del fiume Inguri (qui interpretato dal bacino idrografico di Tkibuli, nella zona occidentale interna della Georgia), personaggio-luogo/set/location già utilizzato dall'autore come paesaggio naturale e umano per la sua opera prima del 2009 (“Gagma Napiri / l'Altra Sponda”, licenziata dopo due cortometraggi) – e ancora “altri” confini saranno i protagonisti della sua opera terza, “Khibula” (2017), con il loro oltrepassamento attraverso un mettersi in cammino per un difficilissimo nostos/ritorno in patria -, che nascendo dai 4.000 mslm dei monti costituenti lo spartiacque caucasico e sfociando nel Mar Nero, lungo la seconda metà del suo percorso, interrotto a metà dall'omonima diga eretta nel 1988 e situata interamente in territorio georgiano, segna il confine nord-ovest / sud-est, anch'esso naturale, tra la Georgia e la Repubblica Autonoma dell'Abcasia (Abkhazia...in russo), autoproclamatasi indipendente dalla Georgia nel 1992 (un atto storicamente valido, essendo un'etnia a sé stante ed esprimendo una propria lingua), né più né meno di quel che fece la Georgia stessa un anno prima nei confronti della Russia], e/ma tutte microcosmi di esistenza (“Primavera, Estate, Autunno, Inverno, e Ancora Primavera”), sussistenza (“l'Isola Nuda / Hadaka No Shima”) e passaggio (“CastAway on the Moon”, “Mud”). 

 

 

Vox/Dictio.
La parola – il verbo, il lessico, tutto l'armamentario di termini ed espressioni ch'esprimono concetti e messaggi veicolati tramite oralità –, in “Simindis Kundzuli / Corn Island”, viene scatenata dall'autorità (e non dal popolo, dalla gente, dagli operai/contadini), dopo 20 minuti dall'inizio passati in “assoluto” [quel che il regista ha deciso di (non) mostrarci] silenzio (il lavoro agricolo da svolgere non ha bisogno, in quel contesto, di istruzioni e ordini vocali: l'istruzione e l'insegnamento sono già stati impartiti in precedenza e mani, braccia, piedi, gambe e schiena viaggiano in automatica, naturale autonomia sapiente), e sancisce un confine in vece di un ponte, stabilisce un contatto ma latentemente feroce. 

 

 

Corpus.
Così come le stagioni create dall'inclinazione dell'asse di rotazione del pianeta provocano le piene dei fiumi sui quali di conseguenza si formano banchi di isole caduche, ecco che le età umane performano in noi isole di desiderio: lei trasporta a spalla fascioni di canne palustri per il tetto, si leva l'acqua dagli stivali zuppi, si pulisce dal sudore e dalla polvere impastantile il viso con la camicetta, si lava pudicamente e poi spudoratamente e al contempo gio-c/i-osamente al fiume. Poi passa la pattuglia di frontiera. E lei abbandona per la prima volta e per altre pulsioni la bambola di pezza (ricordo, simbolo e retaggio - fase orale affettiva - del suo stato di orfana: riempire un vuoto reale e un'assenza, una mancanza, una lacuna concrete con un fantoccio) lasciandola nella capanna. 

 

 

Cast.
Nonno: il veterano attore turco Ilyas Salman: eccezionale.
Nipote: la giovane esordiente e bravissima Mariam Buturishvili (poi protagonista di “Elene”, cortometraggio di Sezen Kayhan).
Ufficiale abkazo: Tamer Levent. Soldato georgiano: Irakli Samushia. Entrambi ottimi.
Sceneggiatura del regista scritta con Roelof Jan Minneboo e Nugzar Shataidze.
Fotografia, grandiosa, di Elemér Ragályi (“1945”).
Montaggio, coerente e significante, di Sun-min Kim (spesso al lavoro con i conterranei maestri sudcoreani Hong-jin Na e Joon-ho Bong).
Musiche (di buon accompagnamento) di Iosif Bardanashvili. Scenografie (co-protagoniste) di Agi Ariunsaichan Dawaachu

 

 

Protervia.
Una scena nell'idillio campestre/armato che scatena una ulteriore e del tutto particolare rabbia: qualunque contadino sa cosa vuol dire vedersi attraversato un campo coltivato da dei cacciatori figli di troia (figli di troia non è una sotto-categoria di cacciatori, sono i cacciatori ad essere un sottoinsieme del vasto appezzamento umano dei figli di troia). 

 

 

Genesi.
Girata con patrimoni georgiani (e agiari) ed europei, non è un film embedded e partigiano (o, meglio - essendoci di mezzo un genocidio -, lo è - pattuglie abkaze "cattive" e soldatino georgiano buono - “solo” in parte: come “Aleksandra” di Sokurov) nel senso deleterio e deteriore del termine, ma un'opera in cui, paradossalmente, quelli che parlano più fluentemente il russo - essendo la loro madre lingua - sono i georgiani, che con la Russia (e l'Abcazia ) sono in guerra (“fredda”) da 30 anni (o da sempre), e nella quale balenano fiammeggianti - costellando il quadro di bucolici bagliori durante il sorgere e l'imbrunire colorandone i giorni e le notti - eterogenee assonanze con autori quali Victor Erice, Akira Kurosawa e Paolo e Vittorio Taviani

 

 

...e ancora primavera. Ma per ora è solo ottobre, in tempestoso, annullante B/N. E sembra quasi che l'impenetrabilità indifferente di "Solaris" abbia inghiottito ogni cosa...risputando fuori ninnoli perduti e dimenticati da trattare con cura... Come (gli) esseri umani.

 

Contesto geo-storico-politico:

- https://www.limesonline.com/cartaceo/labkhazia-dipende-da-mosca-suo-malgrado

- https://www.limesonline.com/russia-e-georgia-dieci-anni-dopo-la-guerra/108119

* * * * ¼ (½) - 8 ½ (9)    

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati