Regia di Iris Elezi, Thomas Logoreci vedi scheda film
Un territorio perduto nel nulla, dove pianure infangate emergono da un mare marroncino magari non brutto, ma per nulla intenzionato a sorprendere con acque cristalline e abissi colorati; greggi di pecore che preferiscono la strada principale alle pozzanghere acquitrinose pur ricche di erbaccia spontanea; poco più in là cinque o sei costruzioni cubiformi malandate e simmetriche fanno a gara per sembrare più decadenti e desolate di certi sobborghi cubani.
Nel mezzo, in mezzo a quel deserto, una palafitta vezzosa e adeguatamente kitch ospita il Bota Cafè, ovvero il “caffè del mondo”, quello che è altrove, ovunque ma non in quel posto,
Lo dirige una giovane orfana, Juli, che vive con l'anziana nonna; è di proprietà di un losco figuro di nome Ben, zio di quest'ultima, che sente profumo di soldi quando incontra imprenditori italiani (uno è Luca Lionello) che progettano di costruire una autostrada a nemmeno 10 km dal bar.
Attorno ai due, come cugina della prima ed amante del secondo, Nora, un'altra giovane si riscopre incinta e rivendica il suo diritto ad un mantenimento.
In Bota Café, singolare coproduzione albanese/italiana, nulla succede e tutto sonnecchia, sopravvive in linea e perfetta coerenza con l'affascinante nulla che circonda ed ambienta la pellicola; almeno fino al momento in cui tutto accade e tutto ci viene spiegato: perché esistono quelle case fatiscenti; perché Ben si è arricchito e a scapito di chi, e tante piccole altre storie e vicende di contorno di un film interessante che tuttavia sbanda per non sapersi organizzare e decidere dove andare (a parare).
Ecco dunque che la commedia scanzonata e on the road trova la via del film di denuncia storico, che poi volge al dramma e al melodramma senza tuttavia riuscire a caratterizzarsi e a mantenere uno stile ed una coerenza che risultino davvero convincenti.
E il film presto zoppica, arranca, appare fuori tempo almeno quanto Nora mentre balla in un paio di circostanze, una volta addirittura su una base diversa rispetto al tempo che ella di lontano, nella inquadrtura finale, tiene, muovendosi senza fermarsi mai, mentre la macchina indietreggia per scoprire un'altra volta i limiti infiniti di una pianura dove la vita si è fermata da troppo tempo.
Peccato perché le premesse c'erano e il Bota Cafè risultava una location spettrale ma affascinante in cui far succedere qualcosa di più compiuto e narrativamente controllato, così come il volto dell'attrice che interpreta la protagonista in cerca di verità, Juli, arricchisce la pellicola di una bellezza affascinante e possibile che lasciava molto ben sperare sin dalla locandina.
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