Regia di Charles Chaplin vedi scheda film
Un operaio viene allontanato dalla fabbrica dove lavora per un forte esaurimento nervoso. Numerose vicissitudini lo porteranno ad incontrare il carcere, la miseria, l’amore…
Forse il più conosciuto tra i film di Chaplin per via della famosa ambientazione tra gli ingranaggi, ma anche perché simbolo della concezione chapliniana di settima arte: poche didascalie e, nonostante il suono fosse a disposizione da quasi dieci anni (il film è del 1936, la prima pellicola sonora del 1927) i suoi personaggi non parlano, scegliendo di veicolare le tematiche attraverso i mezzi classici del film muto, ossia mimica, sovraimpressioni, sottolineatura musicale. Nonostante la parola venga quasi osteggiata dall’autore, lo stesso non si può dire degli effetti sonori, utilizzati senza alcuna remora (si pensi alla scena coi rumori gastrici molesti).
Un film molto concentrato sugli attori, Chaplin ovviamente in primis, ma anche le pose della splendida Paulette Goddard, che dopo questo film sposerà il regista, sono importanti ed emblematiche. La critica alla società industrializzata, cresciuta (male) a ritmi vertiginosi e che tende alla standardizzazione delle pratiche (ma anche degli uomini), fornendo un’eccessiva metodicità del quotidiano è comunicata con la consueta maestria.
Per quanto possa essere il più famoso, “Tempi moderni” non è forse il film migliore del regista britannico, per quanto come al solito foriero di trovate geniali (l’operaio che compulsivamente continua ad avvitare anche lontano dalla catena di montaggio o il ballo obbligato del cameriere) ed alcune altre leggendarie (il grammelot del cameriere-cantante, oppure il finale in cui i protagonisti si allontanano sottobraccio a dispetto della disperazione). Poetico come al solito, ma meno toccante e meno divertente: si potrebbe affermare che i picchi di lacrime e risate toccati col capolavoro “Luci della città” qui rimangono meno evidenti, più ovattati.
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