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Tempi moderni

Regia di Charles Chaplin vedi scheda film

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La recensione su Tempi moderni

di GIANNISV66
10 stelle

Straordinario capolavoro senza tempo che stigmatizza le storture di una società e di un sistema votati al profitto a discapito dei valori umani, ma che al contempo sa regalare momenti di intensa poesia. Un patrimonio culturale che travalica i confini della settima arte

 

«Mi ricordo di un’intervista che avevo concesso a un giovane e brillante reporter del World di New York (...). Mi aveva parlato del sistema della catena di montaggio che c’era là: la triste storia della grande industria che attirava delle fattorie di giovani robusti che, dopo 4 o 5 anni di lavoro in catena di montaggio, diventavano dei relitti umani. Fu questa conversazione a darmi l’idea per realizzare Tempi Moderni....» (Charlie Chaplin).

 

Che cos'è un capolavoro? La definizione non è difficile, è difficile semmai inquadrarla in un ambito ben definito, su dei binari ben determinati. Ma quando un'opera riesce a comunicare poesia e rigore, critica sociale e umorismo, a divertire e al contempo a produrre profonde riflessioni nello spettatore e, soprattutto, a mantenere intatta la sua forza a tanti anni dalla sua realizzazione allora indubbiamente siamo di fronte a un capolavoro, e il sostantivo lo si può spendere senza paura di eccedere o di farne un uso improprio.

Nell'immagine iniziale della folla che trabocca dalla stazione della metropolitana sovrapposta all'immagine del gregge di pecore (bianche, tra cui fa capolino una pecora nera) c'è il colpo di genio del regista che con un solo sguardo veicola un messaggio: l'umanità ridotta a massa indistinta dalla società moderna, solo unità lavorative per uno spietato sistema di produzione industriale.

Ma c'è anche in nuce il messaggio del film, quella pecora nera è infatti il protagonista, quel colore diverso lo distingue come l'elemento di rottura in un quadro di rigore.

Chaplin, come è noto, sviluppò le idee che sono alla base di questo suo lavoro proprio nel periodo della Grande Depressione, l'evento che aveva messo in ginocchio un'intera nazione e soprattutto infranto i sogni di chi nel progresso industriale aveva riposto la speranza per una vita migliore.

E un lungo viaggio in Europa aveva confermato la percezione di vivere in un periodo storico estremamente complesso e difficile (quello compreso fra i due conflitti mondiali). E proprio durante quella visita avvenne l'incontro col Mahatma Gandhi, una cui frase (vuole la leggenda) contro “l'industrializzazione sconsiderata con in mente solo il profitto” diede ulteriore ispirazione a grande regista e attore britannico.

 

La sua presa di posizione contro gli eccessi di una società ormai disumanizzata e tesa solo al profitto al punto da farne una religione (ma incapace di salvaguardare la dignità dei lavoratori) è netta e decisa, e dà spunto per alcuni passaggi passati alla storia (la celeberrima scena del protagonista schiacciato fra gli ingranaggi su tutte, ma anche quella forse ancora più emblematica della dimostrazione dell'infernale macchina per la nutrizione degli operai alla catena di montaggio). Netta, decisa e - ahi noi - attualissima, perché a ottant'anni di distanza la denuncia della inumanità di certi processi di produzione appare purtroppo applicabile a numerose situazioni della società contemporanea.

Chaplin si fa beffe del fordismo e del taylorismo e non esita a mettere alla berlina l'ideologia del capitalismo che è una componente essenziale della filosofia americana, le disavventure del suo Tramp (qui diventato un factory worker) fanno molto divertire ma lasciano l'amaro e inducono a profonde riflessioni.

 

Inutile addentrarci qui sulle accuse di comunismo che il grande artista britannico ricevette (e certo non solo a causa di questo film), quello che è indiscutibile è che qui ci troviamo di fronte a un lucido progressista che da un lato punta il dito senza fare sconti contro le storture di un sistema votato al guadagno ma che, dall'altro lato, riesce a regalare agli spettatori momenti di intensa poesia nelle parti dedicate al racconto della storia d'amore tra il protagonista e la Monella.

Ma andando oltre all'emozione (che comunque resta un valore altissimo in questa straordinaria pellicola) e dedicandosi a un'analisi tecnica non si può non sottolineare come ogni passaggio, ogni particolare sia stato curato nei minimi dettagli, dall'accostamento delle immagini alle scenografie “industriali" fino all'uso del sonoro.

Infatti in un'epoca in cui nelle produzione cinematografiche si impone il parlato , Chaplin ne fa invece un uso misurato: o utilizzandolo per il cantato (della colonna sonora del film fa parte il celebre pezzo Nonsense Song ovvero Io cerco la Titina) oppure in maniera veramente originale per dare una ulteriore sferzata al sistema dominato dalla logica produttiva.

Nessuno dei personaggi infatti parla direttamente, piuttosto le loro voci sono mediate da strumenti meccanici o elettrici. E così il capoturno detta i tempi da un altoparlante mentre l'inventore del terrificante metodo per far mangiare gli operai davanti alla catena di montaggio si esprime attraverso una registrazione su grammofono. Un altro modo per stigmatizzare una tecnologia troppo invadente e troppo oppressiva sul lato umano. Allora come oggi.

E allora come oggi lo spettatore si trova di fronte a una pellicola di valore incommensurabile, autentico patrimonio culturale per tutti noi.

 

 

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