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Le révélateur

Regia di Philippe Garrel vedi scheda film

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La recensione su Le révélateur

di OGM
8 stelle

Il film parla di loro due. Un uomo e una donna. Una giovane coppia. Ma gli occhi che vi assistono sono di un altro. Appartengono ad un bambino, il loro figlioletto che, con la sua innocenza ribelle, determina il percorso della loro esistenza. Un Philippe Garrel appena ventenne affida ad un bianco e nero urlante ed inquieto la rappresentazione della drammatica frattura tra il protagonista di una storia e l’artefice del racconto. L’autore ha in mano il destino del personaggio, anche se egli, in quanto scrittore, è nato dopo la sua creatura, dopo l’idea che l’ha indotto a prendere la penna in mano. Anche lo sviluppatore (révélateur) di una pellicola è  una figura che interviene a  posteriori sul film, quando questo è già stato concepito, interpretato, girato. Ma è solo grazie a lui che il prodotto diventa visibile, e può iniziare il suo cammino nel mondo. Grazie  alla sua opera il moto puramente meccanico si trasforma in un evento rivelato, che qualcuno può guardare dal di fuori, verificandone la estraneità rispetto alla propria esperienza, oppure la fondamentale affinità con quanto egli stesso ha provato.  Il ragazzino è parte essenziale dell’esistenza dei suoi genitori, di cui condiziona l’andamento ad ogni istante, innescando conflitti, esasperando le tensioni, aggravando i momenti di crisi. È il testimone distaccato che diventa il centro dell’universo, ossia la chiave di lettura del tutto, anche quando sembra chiuso nei propri pensieri fantasiosi, ignaro di ciò che gli accade intorno. Impersona una futilità dal volto smagato, che pure, involontariamente, illumina la realtà. è l’elemento onnipresente, invariabilmente impassibile e spensierato, che fa da filo conduttore attraverso la luce e il buio,  che fa avanzare la storia, che le fornisce gli stimoli necessari a renderla complicata, e dunque interessante, provocatoria, istruttiva. Partecipa allo spettacolo come l’esecutore di un gioco, che si sposta da una parte all’altra per esplorare le caselle del suo tabellone, compiendo azioni scaturite, di volta in volta, dall’ispirazione del momento. Non importa se le pedine reagiscono alle sue mosse col riso o col pianto, se si ritrovano confortate nel loro dolore o confermate nelle loro sventure. Il loro destino è quello di doversi comunque confrontare con lui, che dirige le danze ora con indifferenza, ora con malizia, ora con un ingenuo gusto del divertimento. È lui che intreccia i fili e stabilisce il senso, magari oscuro, magari sofferto. Perché spiegare equivale a movimentare il quadro, cambiare la prospettiva, costringere il discorso a procedere, anche senza assegnargli una meta, anche riempiendolo di lacci e di nodi. Dalla nouvelle vague, il cinema di Garrel attinge l’idea della vita che si ingarbuglia per il semplice fatto di essere osservata, di doversi manifestare a qualcuno, di dover essere comunicata nello stesso istante in cui viene vissuta. In questo modo essa diventa ricerca, incessante, disperata, per lo più inconscia, afflitta da una misteriosa angoscia di cui non è in grado di individuare l’origine: una presenza curiosa e sconosciuta,  che si mantiene attentamente nascosta al di là dell’obiettivo, oltre i margini dell’inquadratura. 

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