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La macchinazione

Regia di David Grieco vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La macchinazione

di alan smithee
4 stelle

Grieco traspone in pellicola i circostanziati complotti che stanno alla base del suo omonimo romanzo.Ma si fa travolgere da una interpretazione certo eccezionale,ma anche limitativa, da parte di un Ranieri-sosia perfetto,che finisce per fagocitare e svilire il resto dell'indagine, rendendo monocorde una figura di bel altro spessore

locandina

La macchinazione (2016): locandina

Nel dicembre 2015, durante il 25° Courmayeur Noir Film Festival, ben tre autori letterari presentavano l'ultima loro opera incentrata, o almeno collegata, con la figura controversa, combattuta, anzi letteralmente travagliata, di Pier Paolo Pasolini.

Tra questi, David Grieco, con il suo La macchinazione, si spingeva addentro al mistero del delitto di cui fu vittima il grande letterato e regista nel novembre 1975, prendendosi cura di formulare tutte le sue ingegnose ma per nulla campate per aria ipotesi su complotti e intrighi che hanno reso quella figura scomoda e prorompente, la vittima sacrificale di una storia davvero complessa e quasi diabolica.

Pochi mesi dopo le ragioni di quell'elaborato complotto, che racchiude i segreti più inaccessibili di un'Italia che cercava di allinersi alle potenze europee che contavano, attraverso burattinai protesi a cavalcarne l'onda del successo facendovisi trainare (la controversa figura di Eugenio Cefis spicca senza remore né tergiversamenti allusivi o fuorvianti), la pagina scritta si trasforma in narrazione cinematografica con cui il medesimo autore, già regista del controverso, ma a tratti anche originale e coraggioso Evilenko, torna dietro la macchina da presa, ancora una volta proteso a raccontarci quello che è un mistero tutto italiano, ma di portata mondiale, tenuto conto di chi è stato barbaramente assassinato, e di ciò di cui l'intera umanità si è dovuta privare.

Roberto Citran, Massimo Ranieri

La macchinazione (2016): Roberto Citran, Massimo Ranieri

Libero De Rienzo, Matteo Taranto

La macchinazione (2016): Libero De Rienzo, Matteo Taranto

Alla fine del concepimento della sua ultima controversa e potente opera cinematografica (Salò o le 120 giornate di Sodoma), in quei mesi in fase di montaggio e quasi pronta per affrontare il lancio sul mercato e le polemiche che ne sarebbero di certo e deliberatamente derivate, e in piena stesura di quel romanzo-saggio-monstre che fu Petrolio, mozzato ed interrotto sul nascere, ma concepito come un'opera-fiume lunga oltre duemila pagine, quelle appena necessarie per racchioudere i segreti di un Paese che stava per essere clamorosamente smascherato nei suoi retroscena più cupi e vergognosi, ecco che un complottto raffazzonato e gestito in modo quasi scellerato, ma diabolicamente orchestrato e mal affrontato dalle indagini incestigative del tempo che finirono per cancellare, deliberatamente o meno, prove essenziali per la risoluzione dei truci fatti, finiva per mettere a tacere verità troppo scomode per troppa gente aggrappata alle maniglie di un potere destabilizzato e controverso.

Massimo Ranieri

La macchinazione (2016): Massimo Ranieri

locandina

La macchinazione (2016): locandina

Grieco racconta tutto il truce evento scendendo nei minimi particolari forse più di chiunque abbia affrontato la vicenda (tra gli altri, tutti con risultati differenti ma molto interessanti, ricordo Marco Tullio Giordana (suo il riuscito "Paolini un delitto italiano", del 1995 e proprio di recente il grande Abel Ferrara ed il suo valido, sognante Pasolini), ricostruendo con grande impegno e fedelta una vicenda che merita finalmente di essere svelata nella sua vergogna.

Il problema grave de La Macchinazione, è che, trovato un Massimo Ranieri più che perfetto ed aderente "fisicamente" alla parte del celebre regista, il film se ne serve soggiogandovi e divenendone inconsapevolmente schiavo, tendendo cioè a ridursi ad aderire ad una fisicità straordinariamente compatibile col personaggio, ma finendo per semplificarne e svilirne i tratti caratteriali, che invece proprio in Ferrara e in Giordana, emergevano caratterialmente come più spiccati ed indipendenti, forse come contraltare indispensabile per coadiuvare una resa interpretativa che andava ben oltre l'aderenza fisica e corporale al personaggio.

Qui invece tutto appare come semplificato, appiattito, e a risollevare le sorti di una messa in scena un pò "facile" non aiutano certo personaggi di contorno da borgata davvero troppo folcloristici che sconfinano spesso sull'imbarazzante.

Le ragioni "espositive" e narrative, peraltro imprenscindibili per esporre una vera e propria "macchinazione", e la sin troppo perfetta aderenza fisica al personaggio, finiscono dunque, a mio avviso, per rendere o restituire al personaggio una dimensione un pò troppo semplificata e bidimensionale, che di fatto finisce per sbiadire, almeno in parte, i tratti di un personaggio davvero complesso e sfaccettato, in cui risiede ed abita uno dei personaggi più complessi, variegati e intuitivi, con doti che sconfinano nella veggenza, della nostra cultura lungo tutto il '900.

Interessante ed inquietante quel finale un po' diabolico con apertura su una distesa senza fine di macchinari per l'estrazione petrolifera, sinistro richiamo all'ultima profetica ed incompiuta opera letteraria del grande autore.

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