Regia di Ava DuVernay vedi scheda film
'Selma', pellicola che narra gli storici fatti del '65, con la marcia che dalla città del titolo arrivò sino a Montgomery in Alabama per denunciare che, a cento anni esatti dalla fine della Guerra Civile e dall'assassinio di Abraham Lincoln, che sancì la fine della schiavitù, la popolazione di origine afroamericana non godeva di molteplici diritti, primo fra tutti quello al voto, è un'opera che associa dei pregi a molteplici difetti realizzativi.
Il film pone al centro dell'attenzione non tanto la marcia in sè ma le dinamiche e i 'giochi' che si verificarono nelle stanze del potere - con Martin Luther King (David Oyelowo, bravo ma non sensazionale) e tutte le persone a lui vicine da una parte e il Presidente Lyndon Johnson (Tom Wilkinson in un ruolo che gli calza a pennello) e il suo entourage, con l'onnipresente capo dell'F.B.I. J. Edgar Hoover, stavolta impersonato da Dylan Baker in una prova che resta impressa anche se di pochi minuti, dall'altra - che sfociarono in uno degli eventi che ha segnato la storia recente del paese a stelle e strisce.
La regista Ava DuVernay mette in scena una storia che aveva delle potenzialità a dir poco esplosive (magari in mano a Spike Lee) ma forse pare timorosa nel mostrare le violenze subite dai neri (negri nel doppiaggio, il che mi fa presumere che in originale ci sia il consueto 'niggers' usato in senso spregiativo dai bianchi) d'America nella loro più cruda brutalità, puntando più su sequenze ad effetto e di massa, comunque dirette con buon gusto figurativo, ed alla delineazione delle personalità degli attori della contesa.
Ne esce quindi più un loro ritratto che la cronaca degli eventi - sottolineata puntigliosamente con le didascalie dell'F.B.I. - che danno il titolo al film, i quali, in realtà, occupano una parte esigua della narrazione.
Vediamo da un lato un Martin Luther King che a tratti esita sul da farsi, ha paura delle conseguenze per la sua famiglia e deve mettere d'accordo le diverse 'anime' del suo movimento, ha più volte colloqui alla Casa Bianca dove sembra essere al contrario molto determinato e dall'altro un Presidente Johnson dai modi un po' pilateschi, che dice di interessarsi ai diritti della gente di colore ma per opportunismo politico chiede al reverendo King di procrastinare le sue richieste, e pare anch'egli incerto nell'agire, stretto tra le spinte razziste da parte del Governatore Wallace (Tim Roth dal ghigno beffardo, anche questa caratterizzazione è ben riuscita) e i consigli di Lee White (Giovanni Ribisi), più improntati al realismo, ma più preoccupato di non scontentare nessuno piuttosto che dell'affermazione di un diritto.
Tra parti dialogate decisamente verbose e sempre al limite del retorico, alternate a scene d'azione dai toni più asciutti, si arriva al finale con la marcia - alternata tra immagini ricostruite e di repertorio - conclusa dal discorso di Martin Luther King e ai titoli di coda con i diversi destini dei tanti personaggi incontrati, con la sensazione di aver un po' l'amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere il film se solo regista e autori avessero osato un po' di più.
Bella la canzone 'Glory', candidata all'Oscar, scritta da Common, che ha una piccola parte nel film, e da John Legend, così come il film, ma con probabilità di vittoria ai minimi termini.
Voto: 6.
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