Regia di Ava DuVernay vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=KnIozPJWTPM
Inutile nascondersi dietro un dito.
Si intitola Selma - La strada per la libertà ma si pronuncia “Martin Luther King”.
Il film ci parla di lui. Del suo “sogno” (evocato fin dalle sue prime parole); ovvero della sua determinazione nel portare avanti una sacrosanta battaglia per il riconoscimento effettivo (non solo formale) dell’elettorato alla popolazione di colore (diritto dal quale ne sarebbero discesi molti altri).
Del suo (non sempre) diplomatico “braccio di ferro” con l’ambiguo Presidente Johnson.
Dei suoi delicati (ma non meglio precisati) rapporti con la moglie (e la famiglia in generale).
Del modo in cui essi influirono sul suo impegno pubblico.
Del pastore King; del premio Nobel per la pace (1964); di Martin Luther.
Un uomo (anche lui) vittima di dubbi e debolezze: quelle patenti (ad es. quando rinunciò alla marcia perché - pur non ammettendolo - non sarebbe stato versato ulteriore sangue utile alla causa) e non (l’amore per sua moglie… e forse non solo per lei, il bisogno di ascoltare la voce “Gospel” del Signore nel pieno della notte ecc.).
Selma - La strada per la libertà è un film ingessato nel torpore di un clima da guerra fredda, (benchè molto calda giù nel profondo sud). Bombe straziano inermi innocenti, manganelli percuotono senza pietà, ma ad imporsi all’attenzione è un silenzio assordante che riflette la naturale stanchezza delle coscienze… e quella alquanto innaturale della regia di Ava DuVernay (la cui mdp fa di tutto per addormentare lo spettatore). Un’indolenza narrativa che non risparmia neppure una figura iconica come quella di Malcom X; una meteora scottante che non lascia alcun segno nel film, salvo quando occorre strumentalizzare pedantemente il suo infelice appello alla difesa “by any means necessary”.
Ma è in momenti (pesanti e semplicistici) come questi che un accorato alleluia si leva al cielo per via dell’invenzione della televisione. Quando, infatti, si accendono i riflettori sui fatti di Selma (quelli dei giornalisti che assistettero alla c.d. “Bloody Sunday”) finalmente il film si scrolla di dosso ogni resistenza e indecisione ed incomincia la sua marcia inarrestabile…
Almeno fino a quando i resoconti stenografici dell’FBI non giungono ad annunciare lapidariamente i destini dei semi-anonimi protagonisti degli eventi descritti e, con essi, i titoli di coda.
Non è questa, a mio avviso, la strada per la piena riuscita di un film.
Pregevole, nondimeno, la canzone originale “Glory” candidata all’Oscar.
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