Regia di Gianfranco Cabiddu vedi scheda film
Film notevole, ma "difficile"
Durante una tempesta, un'imbarcazione diretta all'Asinara,allora ancora colonia penale,fa naufragio. Così gli occupanti, si salvano e si ritrovano rocambolescamente scaraventati sull'isola, quattro criminali, le due guardie che li stavano accompagnando e i quattro membri di una compagnia teatrale di giro.Questo drammatico evento scompagina le carte,perchè nessuno di loro possiede documenti e così tre dei delinquenti decidono di spacciarsi per teatranti, con l'aiuto coatto del capocomico, il quarto privo di sensi,approdato in un altro posto,sarà aiutato dalla figlia del direttore,adolescente sola e problematica, che poi però involontariamente,ne causerà l'arresto.Il responsabile del carcere,furbo e colto,subodorando l'imbroglio, s'inventa un sottile"escamotage" per stanare i finti attori, sotto mentite spoglie:dovranno mettere in scena e allestire in soli 5 giorni la "Tempesta di SHakespeare".Nel frattempo un vecchio pastore,eremita solitario, che parla un dialetto incomprensibile,forse un sardo strettissimo, tiene prigionieri due agenti penitenziari, scambiati per evasi.
Il regista Gianfranco Cabiddu, che aveva lavorato come tecnico del suono per il grande Edoardo,gira questa storia,in una "location"ideale,uno sfondo incantevole,costituito da una natura selvaggia e incontaminata,immersa in paesaggi caraibici,che diventa palcoscenico a cielo aperto, naturale, luogo sia fisico che mentale, storicamente contestualizzandola in una suggestiva atmosfera anni cinquanta, trae spunto dall'opera teatrale di De Filippo "L'arte della commedia"e dal dramma "la tempesta" di Shakespeare.
Lavoro impegnativo e ambizioso,sceneggiatura molto forbita e elegante,oltretutto si avvale del lavoro di attori navigati come Rubini,Fantastichini e Carpentieri.Un gioco di squadra notevole e complesso.
Temi affrontati tanti.Spunti di riflessione tantissimi.Soprattutto la sottile linea che divide realtà e finzione,una sfumatura che divide anche i"buoni" dai "cattivi"poi il rapporto spesso frustrato tra uomo e arte e poi la soggezione verso il potere o l'autorità.
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