Regia di Gianfranco Cabiddu vedi scheda film
Un variegato gruppo di persone condivide il viaggio su una nave diretta all’isola dell’Asinara, sede di un carcere di massima sicurezza. Questi sono : quattro camorristi, Don Vincenzo (Renato Carpentieri), il figlio Ferdinando (Maziar Fayrouz) e due suoi scagnozzi, Andrea (Francesco Di Leva) e Saverio (Ciro Petrone) ; le due guardie che stanno scortando i detenuti fino al carcere (Adriano Pantaleo e Lino Musella) ; quattro membri di una compagnia di giro, composta dal capocomico Oreste Campese (Sergio Rubini), la moglie Anna (Teresa Saponangelo), la piccola figlia e il tuttofare Pasquale (Nicola Di Pinto). La nave viene travolta da una tremenda tempesta e tutti i suoi ospiti si ritrovano ad essere naufraghi sull’isola. Tre dei quattro detenuti si incontrano con gli attori e sotto minaccia chiedono e ottengono di unirsi a loro per fingersi componenti della compagnia. Arrivati al cospetto del direttore del carcere De Caro (Ennio Fantastichini), tutti devono recitare bene la propria parte. Ma De Caro è convinto che nella compagnia di guitti si nascondano i detenuti che stava aspettando e chiede perciò di preparare uno spettacolo, convinto di poter scoprire così chi sono i veri attori. Oreste Campese si mette subito al lavoro e vista la situazione che li ha portati sull’isola decide di preparare “La tempesta” di William Shakespeare. Intanto, il tenente Franci (Jacopo Cullin) si mette alla ricerca dei detenuti per tutta l’isola, Miranda (Gaia Bellugi), la figlia del direttore De Caro, conosce e s’innamora di un ragazzo misterioso che non ricorda come è finito sull’isola, e le due guardie sono finite nelle grinfie di Antioco (Fiorenzo Mattu), un pastore selvaggio abbrutito dalla solitudine.
“La stoffa dei sogni” di Gianfranco Cabiddu è un film dalle fattezze picaresche che si pone come una garbata e licenziosa interpretazione de “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo e “La tempesta” di William Shakespeare. Muovendosi nel solco dell’opera di Eduardo (una piccola parte è riservata anche al figlio, Luca De Filippo), “La stoffa dei sogni” riflette sul confine tra vita e il teatro, sulla vita come un’eterna recita imbastita dagli uomini per convivere meglio tra di loro, e sul teatro come palcoscenico ideale dove poter rappresentare attendibili spaccati di vita. Il tutto si combina poi con il testo di Shakespeare, che amplifica ulteriormente le riflessioni che si possono ricavare sulla potenza del teatro, sulla sua innata capacità di offrirsi come luogo d’elezione per la rappresentazione di tipi d’autore universalmente riconoscibili. Le due opere teatrali, distanti l’un l’altra da circa 350 anni di storia, giocano quindi di sponda, e se quella di Eduardo agisce più nello specifico, usando la rappresentazione de “La tempesta” per riflettere sull’abilità più o meno accentuata degli attori di saper mettere in scena un inganno credibile, l’opera di Shakespeare interviene più sulla delineazione dei caratteri e gli stati emotivi dei personaggi, intorno ai quali ognuno può riconoscersi, indipendentemente dalle condizioni sociali cui si appartiene e dal grado culturale che si possiede.
Se cinematografica è l'ambientazione naturalistica che indirizza lo sguardo verso la vastità illimitata dell'orizzonte, "tipicamente" teatrali rimangono la calcolata esibizione dei "colpi di scena" e la centalità funzionale attribuita all'uso degli oggetti. Infatti, come ne “L’arte della commedia”, un ruolo centrale in tutta l’economia della narrazione viene assunto da un baule, che oltre ad essere un semplice oggetto adoperato per custodire i costumi di scena, “verghianamente” necessario rispetto alla professione d’attore, diventa un simbolo di salvazione, una sorta di strumento magico che può dare ad ognuno la possibilità di recitare ruoli sempre nuovi e sempre diversi, fare trucchi, camuffarsi, cambiare faccia. La roba che vi è custodita consente agli attori di cambiare continuamente d’abito, di indossare la maschera che più si addice al momento. La loro libertà diventa così assoluta, perché gli consente di passare da un ruolo all’altro con abile disinvoltura, di recitare a teatro l’arte della vita perpetrando un inganno che difficilmente sarà svelato.
Un film che cammina a braccetto non il teatro quindi, usandolo per offrire una sagace lettura sulla natura umana e sul complesso intrecciarsi di sentimenti contrapposti. Dell’impianto teatrale conserva la struttura poetica d’insieme, la spazialità limitata che costringe ognuno a fare i conti coi propri sentimenti più intimi e a prepararsi a un gioco baro con quelli degli altri. Da un lato, si mantiene la valenza mitica cui assurgono (soprattutto) certi personaggi (da “La tempesta”), caratteristica che consente di indagare sul senso della verità anche se molto fantasiose possono essere alcuni aspetti che compongono l’impianto narrativo. Dall’altro lato, il carattere affabulatorio dei teatranti (da “L’arte della commedia”), costretti a muoversi tra l’urgenza di saper simulare un inganno e il dovere umano di salvaguardare la propria esistenza, tra delle verità da rivelare ed altre da sottacere. Ma il tutto è spogliato di quella centralità speculativa date alle parole e ai corpi tipica del teatro, alleggerito, invece, dal calore e dai colori verginali dell’isola, dal connubio idiomatico di più codici espressivi, dal dramma che si prosciuga nell’istrionismo di esperti commedianti, nella tragedia che trasmigra nell’arte che si fa commedia della vita. La splendida isola dell’Asinara fa da sfondo naturalistico a questa particolare storia picaresca, accentuando attraverso la morfologia del suo paesaggio il senso di nudità cui è sottoposto ogni abitante che la popola. Si sogna la fuga, ma intanto ognuno si rende complice del ruolo che è chiamato ad incarnare. L’amore per la vita, il desiderio di fuga, il fascino del potere, il senso di colpa, la forza dei sogni, il sospetto di essere ingannato e la capacità di saper fingere, la memoria come fonte di redenzione e la paura come condizione perdurante di inciviltà. Questi sono tutti sentimenti che troviamo espressi nel film in maniera più o meno evidente, incarnati anche da quei personaggi solo apparentemente di secondo piano, come la figlia adolescente del direttore, il naufrago smemorato di cui s’innamora, il pastore selvaggio che sembra vivere fuori dal mondo, il tenente Franci e la sua solerte rettitudine, i due carcerieri incarcerati. Figure di contorno che, sempre equilibrando gli assunti concettuali contenuti nelle due opere teatrali, rafforzano, sia il confine tra ciò che si è e ciò che si è disposti a diventare, sia il carattere emblematico dell’intera storia, che ha bisogno dell’armonia di tutti i suoi ingredienti per poter assurgere a opera dai connotati fortemente tipizzati e così durare nel tempo. Caratteristiche queste che non rendono “La stoffa dei sogni” un film sottomesso a codici artisti predefiniti, ma un film tutto tondo che autonomamente usa gli artifici cinematografici per mostrarci quelli rappresentati solitamente a teatro. Quanto basta per farne un buon film, di quelli che riconciliano con la visione di un prodotto genuinamente pulito.
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