Regia di Marco La Villa, Mauro La Villa vedi scheda film
Non date retta al titolo: la storia della Juventus c'entra ben poco. Il documentario diretto da Marco e Mauro La Villa è un'agiografia della famiglia Agnelli, faziosissima e ingannevole, non a caso prodotta da Lapo Elkann, un re Mida al contrario che qualsiasi cosa tocchi la trasforma in escremento. Come può essere considerato come una "storia" della più blasonata e titolata squadra italiana, quella con più tifosi al seguito, un documentario che non menziona nemmeno una volta calciatori come Combi, Rosetta, Caligaris, Bigatto, Parola, Sivori, Charles, Scirea, Anastasi, Zoff, Cabrini, Tardelli, Causio, Haller, Rossi e moltissimi altri ancora che hanno contribuito a creare la leggenda della squadra torinese? Il film è invece tutto uno sbrodolare sulle immagini (quasi sempre in bianco e nero) dell'avvocato Gianni Agnelli e di suo fratello Umberto, a cui si aggiungono gli interventi inestetici da ogni punto di vista (a cominciare dalle interviste rilasciate in lingua inglese per far vedere che si è studiato all'estero) all'attuale presidente Andrea Agnelli, ma anche a John Elkann e allo stesso Lapo. La verità è che questo gigantesco spottone narciso sulla famiglia Agnelli nasconde ben altre questioni, sia sportive che interne alla famiglia. Se l'avvocato tirava coca a gogo, la bravate di Lapo a suon di droga e orge vengono del tutto derubricate dal copione, il suicidio del figlio dell'avvocato, Edoardo, ridotto a mere questioni esistenziali di un uomo sostanzialmente debole, il tentato suicidio di Pessotto, il terzino che si lanciò dal terzo piano della sede bianconera, imputato a un eccesso di pressione durante lo scandalo dei favori arbitrali. Potendo, il documentario riesce a fare peggio sul piano della ricostruzione delle vicende sportive: la tragedia dell'Heysel del 1985, durante la finale di coppa dei campioni in occasione della quale morirono 36 persone, viene riletta come una reazione maschia e responsabile degli undici in campo; lo scandalo del 2006, che portò la squadra alla retrocessione in serie B per la prima volta nella sua storia e alla revoca di due scudetti, viene proposta come l'effetto della congiura delle due squadre milanesi; gentaglia come Moggi, Giraudo e Bettega elevati a santini, martiri per il bene della società sportiva fondata nel 1897. E così via almanaccando in un documentario che si preoccupa pochissimo di mostrare le imprese dei calciatori sul campo di gioco e che si sofferma sui simboli più recenti a uso e consumo della tifoseria più acefala: Buffon, Del Piero, Nedved e, guardando alla panchina, Trapattoni, Lippi, Capello e Conte. Un esempio fulgido - peraltro cinematograficamente irrilevante - di come lo spirito di De Coubertin possa essere del tutto assente in ambito sportivo anche fuori dal rettangolo verde.
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