Regia di Gianfranco Cabiddu vedi scheda film
Quando se ne va un grande artista, specialmente se ha lasciato un'ampia eredità audiovisiva, avviene quasi puntualmente che i media ne saccheggino l'opera. Basterebbe pensare al diluvio di pubblicazioni immonde succedute alla morte di Jimi Hendrix.
Non fa eccezione questo documentario che Gianfranco Cabiddu - già autore de Il figlio di Bakunin nonché di un altro film di impronta musicale, Passaggi di tempo - ha dedicato a Fabrizio De André e al suo rapporto con la Sardegna. Peccato che qui, più che il fattore artistico conti la fattoria, quella magnifica terra di Gallura chiamata Agnata, dalle parti di Tempio Pausania, dove il grandissimo cantautore genovese volle avviare un progetto di allevamento di bovini e di coltivazione di uliveti e vigneti. Il documentario alterna interviste ai personaggi che rimasero a lungo a contatto con Faber, raccontandone più l'aspetto imprenditoriale che non quello umano e meno che mai quello artistico. Il quadro che ne risulta, debitore soprattutto nei confronti della compagna Dori Ghezzi, è di scarsissimo interesse e a poco serve alternare le interviste al prete, al sindaco o al fattore (rigorosamente parlate in stampatello) con le immagini della rassegna Time in jazz diretta dal sardo Paolo Fresu, in cui artisti di diversa fama riproducono una parte del repertorio dell'autore di La canzone di Marinella e Via del Campo, con Morgan che stupra La canzone dell'amore perduto. Ma al di là di qualche rapido riferimento agli interessi di De André per l'idioma gallurese, alla parte relativa alla ricostruzione del rapimento che il nostro subì insieme a Dori Ghezzi nel 1979 e a qualche pertinente osservazione di Renzo Piano, anch'egli genovese amante della Sardegna, il documentario dice pochissimo. La scelta poi di dilatare la durata del film a due ore, appiccicando in coda un'ampissima sintesi del dvd registrato al teatro Brancaccio di Roma nel 1998, è concettualmente del tutto incoerente, visivamente scadente e commercialmente suicida.
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