Regia di Roan Johnson vedi scheda film
L’appartamento pisano
Luglio.
Parte il conto alla rovescia. 31 giorni e poco più a settembre (il mese che segna il reale passaggio da un anno ad un altro, da una stagione della vita a quella successiva).
E poi si diventa grandi, definitivamente.
Un gruppo di ragazzi e ragazze, tagliato il traguardo della sospirata laurea, fanno le valigie per lasciare (per sempre) l’appartamento condiviso in cui hanno vissuto gli anni dell’università.
L’ultima tappa del loro lungo percorso studentesco.
Uscendo da quella che è divenuta un po’ casa loro, sanno di chiudere (per sempre) con un prezioso pezzo di vita, contenitore debordante di spensierata giovinezza, di grandi aspettative, di studio matto e disperatissimo ma anche di leggerezza, di feste dove si tira l'alba, di ubriacature, di amori passeggeri o di relazioni più o meno stabili, di amicizia con la maiuscola, di colpi di testa, di risate fino alle lacrime e di lacrime amare per il dolore acerbo di aver perso per strada un pezzo di loro.
La bolla di sapone che li ha contenuti, avvolgendoli e proteggendoli dalla realtà nuda, cruda e senza filtri adesso si è rotta.
C’è un momento per ogni cosa, dice il proverbio, e ora tocca fare i conti con il mondo degli adulti, immettersi, nolenti o volenti, in quel flusso estraneo, ancora tutto da decodificare (leggasi pure digerire) di regole, convenzioni, compromessi che i nostri ragazzi hanno sempre guardato con sospetto e orgogliosa, altezzosa ripugnanza.
La vita dei grandi non gli appartiene e loro non appartengono ad essa.
Una bugia salvifica, che li ha condotti dove si trovano adesso.
Ma non è più tempo di giocare, di fare gli eterni scemi, i superficiali, gli scanzonati.
È tempo, invece, di guardare dritti dentro se stessi e realizzare in piena onestà un bilancio sui propri successi e fallimenti.
È tempo di saltare nel vuoto senza più rete di protezione.
È tempo di afferrare quell’avanti a cui si è guardato, timorosi e speranzosi, per così tanti anni.
Basta con le fughe da fermo, è il momento di mettersi in viaggio. Di fare sul serio.
E come in ogni partenza, qualcosa si lascia alle spalle e qualcos’altro si porta con sé.
Amori, amicizie, sogni, vengono confermati o rinchiusi nel cassetto della memoria.
Un domani parleranno di quando una volta si è stati giovani e tanto incoscienti e ingenui da credere che il mondo avrebbe affogato chiunque e qualunque cosa nel suo lurido fango eccetto noi, e il nostro universo fatto a nostra immagine e somiglianza.
Varcare la soglia dell’ignoto futuro, soprattutto quando ad attenderci è una strada tutta in salita e le certezze son poche, e i soldi altrettanto, induce a pensare quanto fossero migliori quei giorni in cui si viveva di nulla, si mangiava col nulla. Ma tutti insieme, uniti e affiatati, intorno al tavolo di cucina a nutrire i rispettivi sogni. E crogiolarcisi dentro.
Questi ragazzi, nell’estate che il tempo dilata fin quasi a fermarlo, si trovano sospesi tra ciò che è stato e quel che sarà, combattuti dalla voglia di rincorrere il domani e il bisogno di tenersi stretto il rassicurante presente.
E allora, consapevoli della spietata verità che li vedrà separarsi e probabilmente mai più incontrarsi, non resta che ingegnarsi per ritardare, il più possibile, il fatidico giorno dell’addio. Con una gita in campagna, tra il grano e i girasoli, magari avendo la fortuna di rimediare un’anguria e delle melanzane e riuscire a scherzarci su come solo i ragazzi sanno fare, o una giornata al mare (e alla ventura) sotto il sole cocente.
E l’epilogo, che ben racchiude il senso di questo piccolo gioiello grezzo dagli echi universali, minimalista ma non per questo povero e raffazzonato, verista per come guarda e si approccia alla realtà, brillante di disinvolta e schietta autenticità nell’alternare sinceri momenti di euforia ad altri pregni di disincanto, ci vede tutti sulla stessa barca, a metà tra il serio e il faceto, in balìa della corrente, a decidere quale direzione prendere.
A decidere di cominciare a remare.
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