Regia di Cary Fukunaga vedi scheda film
Il percorso nella violenza che rende l'innocente una macchina per uccidere.Fukunaga dirige tecnicamente piuttosto bene un film ricattatorio inaccettabile,in cui ci impone tesi già scritte centrate sull'emotività insita nel considerarci persone civili e raziocinanti, e puntando in modo stolto e disonesto ad animare le nostre emozioni più epidermiche
FESTIVAL DI VENEZIA 2015 - CONCORSO
L'Africa contemporanea dilaniata da sanguinose ed incontrollate guerre civili, che portano la razza umana a compiere abomini nei confronti di se stessa secondo rituali devastanti che contrassegnano i momenti più bui e inaccettabili della storia dell'uomo sul pianeta.
L'azione si concentra sulla figura di un bambino come tanti, Agu, che un momento scorrazza libero e sorridente con i suoi amici coetanei, ostentanto quel dinamismo e quella sfrontatezza ironica e burlona che la giovane età e la voglia di vivere alimentano ed esaltano, e poco dopo si trova costretto alla fuga dopo che parte della sua famiglia è stata costretta a fuggire, mentre l'altra parte è rimasta vittima di una sanguinosa rappresaglia da parte di milizie nemiche sopraggiunte nel villaggio con l'intenzione di radere al suolo ogni traccia di vita.
Finito nelle mani di un sedicente quanto carismatico comandante di forze ribelli, (lo interpreta un istrionico Idris Elba) il giovane diviene il protetto di quest'ultimo, il discepolo, e l'arma di cui il militare si serve per agire, inducendolo e motivandolo alle ragioni della violenza e della sopraffazione.
Il percorso di Agu sarà un calvario degli orrori senza fine, che lo condurrà ad un passo dal baratro e dal no way out.
Cary Fukunaga, regista portato a braccia a furor di popolo, e con una certa comprensibilità in seguito al successo della prima stagione di True Detective, serie tosta che ha riscritto nuove, sofisticate e stilose regole di linguaggio televisivo in grado di conferire alla produzione seriale e televisiva la complessità degna di una produzione cinematografica d'autore - ritorna con un progetto ancora più ambizioso, provocatorio e mirato: si presenta innanzi tutto al festival italiano più noto al mondo nella sezione più importante (il Concorso) con un peodotto destinato a disertare le sale, finanziato da una delle società più note e lanciate di streaming on line e cinema on demand.
E lo fa con un film di indubbio grande impatto emotivo, carico di temi forti, attuali, sconvolgenti. Ma sbagliando completamente negli intenti, nello stile in cui viene lanciato il messaggio, nella finalità della rappresentazione.
Fukunaga infatti gioca pericolosamente ed in mala fede con l'attualità sconcertante del tema: i bambini soggiogati dagli adulti e condotti a divenire armi letali da utilizzare a proprio piacimento, come automi allevati e cresciuti nell'odio, atti a soddisfare e a rendere palesi i propri biechi scopi di predominio e sopraffazione. Tema tutt'altro che inventato o campato per aria.
Ma lo scaltro regista indulge in modo intollerabile negli eccessi e nella rappresentazione epidermica di situazioni al limite, rendendo schiavo lo spettatore di immagini e situazioni che inducono al comprensibile sdegno e all'esaltazione della tematica scottante che si insinua nella sensibilità dello stesso, rendendolo orgogliosamente partecipe di un gioco troppo facile e ricattatorio.
Ha ragione da vendere la firma illustre di questo sito che ritiene insopportabile la tendenza di Fukunaga a far vedere allo spettatore ciò che egli più si aspetta di veder rappresentato, per suscitare nel pubblico il giusto, facile, sin esaltato sdegno che lo leghi al prodotto in modo indissolubile: non sono forse queste le regole televisive più abusate, quelle che ci rendono succubi di un prodotto seriale, rendendoci schiavi delle relative ricorrenze ed inteminabili successioni? La scena iniziale della televisione vuota, animata brillantemente dalla verve naturale ed irressistibile di una gioventù brillante e comprensibilmente gioiosa e vitale, la dice lunga e rappresenta una sinistra ma veritiera metafora su ciò che andremo a vedere poco dopo lungo tutto l'intero corso della pellicola.
Fukunaga nasce da questo mondo e sa come fascinare il suo pubblico: come un incantatore di serpenti col suo sibilare seducente.
E a questo fine disegna un'alternanza di personaggi buoni e cattivi da manuale, accostando situazioni sempre al limite, la discesa verso inferi apparentementente insormontabili e l'insperato guado verso una soluzione ove la ragione ha il predominio su tanta brutalità gratuita e ingiustificata.
Per questo, a mio avviso e senza alcuna intenzione polemica nei confronti di tutti coloro (molti e senza dubbio ognuno con dei buoni e giustificati motivi) che invece hanno apprezzato l'opera, Beast of no Nation è un film che - con i suoi eccessi, con i suoi personaggi buonissimi e/o cattivissimi, con le sue situazioni tesissime e disperate, alternate a immagini consolatorie e piene di speranza laddove invece pareva proprio non ce ne potesse essere traccia - giudico inaccettabile, disonesto, insopportabile, irrimediabilmente in malafede ed in netta antitesi con chi (e di questi autori il cinema per fortuna è ancora molto fornito) si sforza di raccontare le storie, anche quelle più drammatiche ed insostenibili, con la verosimiglianza e l'onestà di un racconto che non deve necessariamente compiacerci/si o farci sentire paladini incondizionati di una causa.
Beasts of no nation è un cinema che rinnega se stesso anche già nelle stesse formali regole distributive che ostenta ed impone, ed incanta lo spettatore, azzannandolo a tradimento, imponendogli un percorso scandito da tappe che sono solchi profondi in cui è possibile solo farsi trascinare, allucinati da sentimenti ed emozioni a pelle che sotto sotto ci piace provare e far nostre, ma che in fondo non mi pare ci forniscano nulla di veramente genuino e puro.
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