Regia di Cary Fukunaga vedi scheda film
Africa, stato non identificato. Beasts of No Nation è la storia di un bambino soldato: dalla pace alla guerra, dal gioco all’omicidio, dal sorriso allo stupro, dalla febbre del gesto violento alla fine d’ogni fede. Fukunaga mette in scena questo sensibilissimo tutto con retorica pienamente, deteriormente, contemporanea: baraccone d’immaginario pop su bestiario africano, scialo di fisheye e color correction ostentata, sguardo coloniale al lavoro, ottovolante in cerca d’emozioni coatte fortissime. Spettacolo del dolore? Scientemente. E non solo. Non si può scrivere di Beasts of No Nation (adattamento di un romanzo di Uzodinma Iweala) e non considerare la prima immagine, puro manifesto d’intenti: bimbi offerti in cornice televisiva, prima che il quadro si ampli e riveli il contesto. La tv nel film è una struttura vuota, che i fanciulli portano in giro vendendo un palinsesto di programmi d’immaginazione, balletti e soap, a richiesta dello spettatore. Fukunaga, in questo film targato Netflix, fa lo stesso: offre a chi guarda quel che vuole, uno spettacolo eccitante. Che però oscilla tra poli opposti, sdegno e magnetismo, critica ed estasi, repulsione di fronte all’omicidio e gloria della guerriglia, fascino e ribrezzo per il Comandante. Lo spettatore è obbligato a orientarsi moralmente di fronte a queste exploitation inconciliabili. Cinema integrato, politico per paradosso.
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