Regia di Cary Fukunaga vedi scheda film
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi dall'alto di chissà quale supponenza, è arrivato il momento di sedarli. Cary Fukunaga con Beasts of No Nation dimostra di essere un autore in grado di cimentarsi con un argomento spinoso senza perdere mai di vista le sue radici artistiche e la connessa poeticità. Stona, a prima vista, definire poetico un dramma a sfondo bellico che nulla ha di tenero e che non risparmia crudeltà, sangue e violenza di ogni genere. Mettendo da parte quella lentezza che in molti addossano alla prima stagione di True Detective, definita spesso come troppo cervellotica e poco movimentata, Fukunaga sceglie di seguire i due protagonisti di Beasts of No Nation da vicino alternando camera a mano, lunghi piani sequenza e frammenti pittorici, rendendo del tutto nuova e imprevedibile la storia scritta da Uzodinma Iweala.
In un non meglio specificato Paese africano, lo scoppio della guerra civile infrange l'infanzia del piccolo Agu. Abituato a vivere di immaginazione, a giocare di fantasia con i coetanei e a gustarsi l'equilibrio della famiglia (povera ma compatta), Agu si ritrova da un momento all'altro senza nessuno che possa prendersi cura di lui. Fuggendo nel vicino bosco, riparo ancestrale da ogni malanno terrestre, viene catturato da un gruppo di guerriglieri ribelli facenti capo al Comandante, una sorta di guru dell'arte della guerra dallo spiccato carismo e dall'umanità di facciata. Formato come un bambino soldato, Agu impara ben presto come esistano due sole regole per sopravvivere: non morire e rimanere in silenzio. Gli orrori di cui è testimone non vengono nascosti allo spettatore, che si ritrova sugli occhi il sangue delle vittime di una guerra fraticida senza senso, di un conflitto generato solo dalla sete di potere dei politici locali. Dapprima ammaliato dal suo mentore, scoprirà altresì come il Comandante, suo padre putativo, sia in realtà un combattente senza scrupoli che per il proprio tornaconto o benessere non esita a ordire un complotto ai danni del suo 2-I-C (secondo in comando) così come non tentenna a beneficiare del corpo dei suoi piccoli combattenti per placare i suoi appetiti sessuali.
Servendosi di Idris Elba nella parte del Comandante e dell'esordiente Abraham Attah, Fukunaga sceglie di raccontare la formazione di un bambino soldato senza concedere sconti. In un susseguirsi di combattimenti, attentatati, strategie, tattiche e i discorsi di esaltazione ai discepoli, il Comandante tiene in pugno un manipolo di 'soldati' di cui ha conquistato fiducia e rispetto incutendo timore misto a reverenza. Novello Gesù tra i discepoli, il Comandante diventa con la sua oratoria e retorica il simbolo di quei 'governanti' che fondano la propria forza sulla propaganda amalgamata alla coercizione. Del resto, la sovranità appartiene a lui, che la esercita senza preoccuparsi dei limiti che supera. La sua presenza carismatica, elevata a mito ma anche solo a figura paterna, segna il passaggio di Agu a un'età adulta che non collima con quella anagrafica, a giochi che non sono più tali ma che diventano carneficine.
Approfondendo le psicologie dei personaggi, Fukunaga non lascia nulla di intentato, non tace gli espedienti che mettono in campo entrambi per salvarsi la pelle e non lesina particolari. Con un ritmo che non decellera mai, ci conduce da una foresta dapprima verdissima come la speranza a un piccolo villaggio-fortino, i cui meandri fangosi ricordano quelli di un girone infernale dantesco. Metafora dell'orrore in cui cade Agu, il paesaggio con le sue insidie, le sue foglie rose o i suoi fiumi di sangue, segna ogni fase del declino della mente del piccolo, che non potrà mai più essere quella di un tempo. In mezzo a tante morti che rappresentano solo incidenti di percorso, Agu impara però anche a saper apprezzare il valore dell'amicizia grazie al coetaneo Strika, che ha vissuto sulla proprie pelle le sue stesse esperienze compresa quella di passare per il letto del Comandante (senza gridare alla pedofilia o all'omosessualità, i bambini sono per l'uomo solo dei corpi sessuali non ancora da uomini che fanno da surrogato all'assenza femminile). E non dimentica di credere in Dio, quello stesso Dio che ammesso esista finge di non vedere ciò che accade.
Nel raccontare l'odissea tutta moderna di Agu, è anche facile pensare al dramma dell'immigrazione che attanaglia le coste del Mediterraneo. Con fare (quasi) documentarista, antropologico e giornalistico, Fukunaga delinea un quadro della situazione da cui spesso fuggono: guerre civili senza senso di cui anche le organizzazioni umanitarie sono silenti complici.
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