Regia di Don Michael Paul vedi scheda film
Ho approcciato il film con l'unico lieve condizionamento (scarsamente pregiudizievole) di un commento pervenutomi da un amico affidabile che lo giudicava decisamente migliore del primo Jarhead, il quale non era altro che un film di propaganda con apparenti nobili intenti di denuncia (ma solo in superficie) dell'assurdità e drammaticità del servizio militare in tempo di guerra (con tutti i tragici paradossi annessi e connessi, dal fuoco amico, al rischio che deriva dai vaccini e dalle contromisure farmacologiche per far fronte ai rischi chimico, biologici e nucleari). Questo secondo tentativo parebbe meglio riuscito del primo, perché la trama offre una motivazione migliore, salvare una donna afgana divenuto il simbolo internazionale della lotta per i diritti umani e le pari opportunità in un'area dove dominano i talebani. La donna deve infatti recarsi all'ONU per parlare al consesso internazionale, ed i talebani, che già gli hanno massacrato la famiglia, cerca di impedirglielo. Una squadra di marines, che stava svolgendo tutt'altra missione ed aveva già passato le sue (il film è molto preciso nell'indicare la miriade di rischi che si corrono in servizio in Afaganistan), si trova suo malgrado coinvolta e seppur con i vari distinguo soggettivi e qualche resistenza iniziale, i pochi superstiti della squadra alla fine si sentono tutti responsabili nel portare a termine la missione che in origine era stata assegnata a dei Seals (che ci hanno tutti rimesso la pelle). La missione andrà a buon fine, ovviamente, ma con perdite elevatissime e sacrifici indicibili. Un film di propaganda, come tutti i film bellici americani, ma almeno è elegante, raffinato, sobrio, non spocchioso con delirio di onnipotenza incorporato, non vi sono supereroi ma solo eroi normali. L'unica nota stonata è la figura del comandante, un maggiore che segue le vicende dalla base, un duro ma anche paternalista, buon padre di famiglia che si preoccupa e conosce per nome tutti i suoi numerosi figli adottivi ...
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