Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Cupo, iperrealista, pessimista. Questo è Taxi Driver.
Poco importa quale sia la considerazione che la società avrà alla fine di Travis Bickle, tassista in una New York di cui viene mostrato solo il profondo degrado; Travis (un sontuoso De Niro) ci viene presentato non come un semplice uomo disgustato dal mondo in cui vive, ma come parte fondamentale di esso, è la proiezione stessa di tutti i difetti della società americana: misantropo, depresso, ossessionato e infine anche pazzo.
Follia che finalmente lo conduce alla ribellione e a quella self-made justice che va tanto di moda, specialmente quando puoi comprare tranquillamente delle armi a qualsiasi ora del giorno senza avere il necessario porto d'armi. Travis Bickle rappresenta anche questo, l'idea di immedesimarsi nel ruolo di un giustiziere metropolitano sovversivo. Perché fare richiesta d'ingresso nei servizi segreti? Per rendersi complice di un candidato presidente che non riuscirà mai a cambiare in bene il paese? No, no. New York va ripulita dal basso, partendo da ciò che si vede nella prospettiva del finestrino del taxi di Travis: Iris è una prostituta di soli 13 anni, sfruttata dal classico pappone e dai soliti ricconi bastardi, vera feccia della società per il tassista, che la frequentano. Sì, Travis Bickle deve partire da lì, sapendo (oppure no, nella sua lucida pazzia?) che la giustizia fai-da-te può portare a diversi esiti e diverse considerazioni e forse non sarà mai d'aiuto per guarire da una sociofobia radicata nella mente sua e dell'America intera. Fortunatamente, Taxi Driver ne fa un'apologia solo apparente...
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