Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
“In ogni strada di questo paese c'è un nessuno che sogna di diventare qualcuno. È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo.”
Taxi driver (1976), uno dei classici del cinema del ‘900, è il film cult di Martin Scorsese, probabilmente il più grande dei registi viventi. Il protagonista è Travis Bickle, De Niro nel suo ruolo più iconico, un reduce del Vietnam con un disturbo da stress post-traumatico che soffre d’insonnia e decide di farsi assumere come tassista notturno da una società di trasporti. Solitario e disadattato, vive in un minuscolo, claustrofobico appartamento di New York dove tiene un diario in cui annota pensieri e osservazioni, oggetto dei frequenti monologhi interiori recitati dalla sua voce fuori campo. Quando conosce Betsy (Cybill Shepherd), impiegata dell’ufficio elettorale del senatore Palantine (Leonard Harris), candidato alla presidenza, si invaghisce subito della sua bellezza angelica e le confida il suo interesse per lei. La donna dapprima accetta il corteggiamento, ma per un’ingenua gaffe di Travis (la invita ad andare in un cinema porno che frequenta abitualmente) si allontana dal giovane e reagisce negativamente ai suoi tentativi di riavvicinamento. Il rifiuto di Betsy destabilizza ulteriormente, fino a una reazione di tipo psicotico, lo stato mentale di Travis che, disgustato dalla dilagante criminalità, dalla violenza e dal degrado sociale e morale che lo circondano, si sente chiamato a una missione di giustiziere “per ripulire la città di tutte le sue sozzure”. Provvisto di un arsenale e con un nuovo look per via del taglio dei capelli alla Mohawk, individua il bersaglio da eliminare in Palantine, che considera il simbolo dell’incapacità della politica di far fronte ai mali della società. Ma l’attentato al senatore fallisce e allora Travis dirige la sua furia purificatrice contro “Sport” (Harvey Keitel), il turpe sfruttatore di Iris (Jodie Foster), una prostituta tredicenne che precedentemente aveva cercato invano di sfuggire al protettore entrando nel suo taxi. Dopo un’interminabile sparatoria, descritta in una fenomenale, iperrealistica sequenza, riesce a liberarla e a uccidere i suoi aguzzini rimanendo gravemente ferito,mentre il suo tentativo di suicidarsi, frutto di un vortice autodistruttivo, va a vuoto. Celebrato dai media come un eroe, in realtà antieroe dell’alienazione urbana, Travis, una volta guarito, riprende il suo lavoro di tassista, ma nell’ultima scena, quando con occhi allucinati guarda nello specchietto retrovisore, sembra essere tornato nuovamente preda dei suoi demoni mentali. A creare l’atmosfera del film fin dalle prime immagini contribuisce in modo decisivo la colonna sonora di Bernard Herrmann, in cui l’uso di percussioni e batteria per produrre una sensazione di inquietudine, di catastrofe imminente, si alterna con il romantico, malinconico tema melodico, dal colore jazzistico, affidato al sassofono. Il commento musicale accompagna ossessivamente i vari momenti della pellicola conferendole il giusto carico di pathos. Sceneggiato da Paul Schrader, che si è ispirato alla vicenda di Arthur Bremer attentatore del candidato alla presidenza George Wallace, il film ha caratteristiche che lo collocano a metà tra un neo-noir esistenzialista e un western metropolitano. Scorsese ha saputo farne uno splendido esempio di intreccio tra cinema di genere e cinema d’autore, ottenendo un grande successo commerciale. Palma d’oro a Cannes nel 1976, è un film senza tempo che ci fa scoprire, ad ogni visione, nuovi sorprendenti aspetti della recitazione, dei movimenti di macchina, della tecnica di montaggio, della scenografia, utili per comprendere meglio i motivi della sua complessa bellezza. È la mia ”magnifica ossessione”.
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