Regia di Joon-ik Lee vedi scheda film
Quando si sceglie di affrontare un tema come quello della violenza sessuale il rischio di oltrepassare il labile confine tra realismo (denuncia) e melodramma ricattatore è alto. Soprattutto, è alto il rischio di scadere nel sensazionalismo, cosa che fortunatamente questo lancinante lungometraggio riesce ad evitare di fare, mantenendo sempre un supremo rispetto per la vittima e non lasciando mai filtrare neppure per un secondo il dubbio che si tratti, come qualche recensore ha comunque voluto a tutti i costi “constatare”, di una bieca operazione di sfruttamento, magari perfino a fini commerciali.
E lancinante è indubbiamente l’aggettivo più adatto a descriverlo, questo Hope, un film talmente potente, in alcune scene, da non poter fare a meno di smuovere qualcosa anche negli animi più rigidi di chiunque si meriti l’appellativo di essere umano.
Come si sa, quando si tratta di cinema coreano l’incognita melodramma portato all’estremo è sempre dietro l’angolo, eppure anche in questo Hope mantiene praticamente sempre un fine equilibrio e riesce a non scadere nel patetismo (esemplare a questo proposito la scena, in ospedale, del confronto tra la madre di So-won e l’amica; ma anche e soprattutto le varie scene nelle quali il padre della ragazzina si traveste da “Cocomong”, un personaggio dei cartoni animati, per farle visita).
Tra i vari sentimenti che si dimostra in grado di evocare il film, sicuramente vi è anche, man mano sempre più preponderante, l’indignazione nei confronti sia di come vengono condotte le “indagini” sia di come si sviluppa il processo conseguente (ed il tutto è reso ancor più sconvolgente dalla consapevolezza del fatto che sia basato su fatti realmente accaduti, e che pertanto una pena così lieve sia stata effettivamente inflitta all’individuo che ha compiuto una simile indescrivibile crudeltà [come dice giustamente l’amico del padre di So-won: davvero solo perché uno è ubriaco al momento del fatto allora è giusto che gli si conceda un’attenuante?]).
Più sfumatamente il film ingenera nello spettatore più attento anche un’altra forma di tristezza (oltre a quella primaria che si origina dal puro impatto emotivo della vicenda) derivante dall’inevitabile constatazione dell’inquadramento della donna e dei numerosi schematismi e pregiudizi che ancora su di lei gravano in un società che, come molte altre, a quanto pare sotto la superficie rimane ancora sostanzialmente maschilista (strazianti le scene in cui So-won, pur alla luce di quanto le è avvenuto, dimostra di preoccuparsi più del lavoro e della vita dei propri genitori di lì in avanti che di se stessa, ed in particolare di credere che le persone riterranno in qualche misura “colpevole” anche lei).
Ritorno alla regia di Lee dopo l’insuccesso di Battlefield Heroes a seguito del quale per la verità aveva annunciato di volersi ritirare, Hope è, come si sarà capito, un dramma difficile da sostenere eppure proprio per questa ragione da vedere immancabilmente (un altro film di tono similare consigliabile è Silenced, con protagonista Gong Yoo), un film di grande forza, recitato egregiamente (oltre agli attori adulti, davvero bravissima la piccola protagonista in un ruolo che definire difficile appare un eufemismo) e graziato dalle delicate melodie ad opera di Bang Jun-seok.
Vista e considerata la tragicità della storia, qualcuno potrà forse essere portato a chiedersi dove risieda poi tutta questa speranza cui fa riferimento il titolo. Eppure, a ben vedere, nel film di Lee Joon-ik, soprattutto nel finale, non è affatto negata: certo, il trauma è indelebile, una giovane vita è stata ignobilmente sconvolta ma nella comunità, negli amici e nella famiglia è possibile comunque trovare la forza di andare avanti, pur tra mille difficoltà (toccante, oltre a quelle già citate, anche la scena in cui So-won nota i numerosissimi messaggi lasciatele dai compagni di scuola sulla vetrina del negozio).
Aggiunge un ulteriore livello di lettura la memorabile citazione che compare negli ultimi minuti:
"La persona più sola è anche la più gentile.
La persona più triste sorride in maniera più luminosa.
Perché non vogliono che altri soffrano allo stesso modo."
-Anonimo
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