Regia di Vincenzo Marra vedi scheda film
Vincenzo Marra è regista di pacata eppur violenta espressività, cantore mai appagato delle forze misteriose e invincibili che conducono l’uomo all’incontro con il suo destino. Il suo stile autoriale, peraltro sublimato in ottime prove nel genere, è dunque prettamente documentaristico: Marra congela le emozioni, benchè non sopprimendole, lasciando che di esse resti una scia urlante, più che all’udito, alla psiche dello spettatore. Il procedimento viene ripreso anche ne La prima luce, con esiti tuttavia molto lontani dai suoi migliori lavori. Ciò che costituiva il rischioso punto di forza dell’opera di Marra (le ellissi ripetute, il lasciare campo aperto al non detto e al non agito) diventa purtroppo il fattore di debolezza dell’ultimo film. I comportamenti non vengono spiegati a sufficienza: ed in una vicenda drammatica quale può essere quella di un bimbo conteso tra due genitori di diverso ed autosufficiente egoismo, la necessità di incastonare il plot in un background psicologico e fattuale rappresenta un imperativo quasi kantiano. Altrimenti le azioni dei protagonisti (la mamma che fugge con il piccolo, in preda ad un obnubilante malessere che pare insorgere tout court, a dispetto della cornice di soddisfatta e soddisfacente vita borghese; il padre, cui pure Scamarcio regala un’interpretazione di ottima misura, sgomento di fronte all’imponderabile ed ostinato nella sua onesta ed inutile volontà di comprendere le ragioni di tutti) diventano i semplici movimenti di un organismo elegante nei meccanismi e farraginoso nel funzionamento globale, i quadri astratti di un ottimo pittore che cede alla maniera, replicandosi (troppo) fidelisticamente.
Apprezzabile una certa sobrietà di tocco, che Marra conserva, quale marchio di fabbrica, anche nei momenti meno riusciti (e sono tanti), nonché l’uso di una colonna sonora, pur lambita da ottime canzoni cilene, affidata ad elementi “esogeni” (rumori di fondo di traffico, voci di bambini che giocano, l’invisibile presenza/suono di un mare che riposa e scorre con ovvia indifferenza), proprio quelli che nel regista conservano un’importanza primigenia che ne fa cornice agli esseri umani, a volte determinandone a volte accompagnandone azioni e reazioni. Ma i dialoghi sono stranamente sceneggiati male: alla ricerca di un realismo insistito, Marra sembra smarrire il senso ultimo delle cose, inserendole in un contesto di una qualche sciatteria che, certo, non ha mai costituito porzione rilevante delle sua cifra stilistica (i dialoghi fra i coniugi che non si capiscono sono molto, troppo, simili a quelli di una moglie e di un marito di una qualsiasi soap con ambizioni di rinnovamento culturale; il bambino, che già aveva confidato al padre la propria angoscia per i propositi di fuga della madre, alla fine si lascia condurre senza un fiato sulla nave, trascinando il suo bel trolley da vacanza; la burocrazia è rappresentata con gli occhi lividi e le espressioni rassegnate di burocati/funzionari/avvocati messi lì ad incarnare un ruolo quasi leviatanico; l’avvocato Scamarcio si fa praticante della peggior risma di fronte alle leggi straniere – d’accordo l’angoscia del momento, ma deve pur esistere un bignamino per legali che intendano approcciarsi ad usi e costumi legali esteri..-). Resta, al termine della visione, una strana sensazione: quella di aver assistito ad un film non brutto ma che non sembra di Vincenzo Marra; il quale ci aveva abituato a prove forti e capaci di sedimentarsi a fondo. De La prima luce non resterà probabilmente molto (al di là di una scena finale che smuove un po’ di emozione ma che pare profondamente non marriana). E’ un peccato.
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