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Good Kill

Regia di Andrew Niccol vedi scheda film

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La recensione su Good Kill

di champagne1
7 stelle

Ucciderli costa meno che catturarli...

Il Maggiore Egan, pilota dell'Aeronautica militare, dopo varie missioni in aria viene assegnato ad una unità che si occupa di far volare i droni nelle zone del Medio-Oriente a rischio di organizzazioni terroristiche con lo scopo di bombardare obiettivi ritenuti sensibili e uccidere i presunti terroristi.

Poi la sera esce dal suo container e va a casa a giocare coi suoi bambini...

La guerra nell'accezione classica del termine è una lotta fra parti ben individuate e contrapposte. Gli atti di terrorismo hanno sconvolto le nostre misure e la difficoltà a percepire chi è il nemico stanno rapidamente portando a imboccare sentieri in discesa libera verso la barbarie.

Quando un drone situato a 3000 metri d'altezza, dietro comando manuale a migliaia di kilometri di distanza, lancia un missile che ucciderà svariate persone (probabilmente terroristi più qualche "effetto collaterale"), guardando il tutto in un monitor senza audio, il rischio è di pensare di trovarsi in una sorta di mondo virtuale, in cui prendere atto degli effetti raggiunti, contare i corpi straziati, il sangue sparso, poi cambiare immagine e ricominciare nello stesso modo con un altro bersaglio.

Ma non è solo questo che Niccols vuole dire.

 

Il Regista vuole renderci partecipi di questa particolare modalità "straniante" di fare la guerra: mentre al fronte uno vive il cameratismo dei propri commilitoni come l'ostilità della parte avversa in un continuum spazio-temporale, invece in questa guerra ipertecnologica che permette al soldato di restare a casa propria, si marca il cartellino, si ammazzano un tot di persone, poi si torna a casa a fare la grigliata con gli amici o aiutare nei compiti i propri figli. Questa sterilizzazione emotiva della guerra è la parte più seducente e angosciante del film di Niccols, che tende quindi a riproporre il tema del vero e del falso, o meglio del virtuale che sembra reale o del reale che sembra virtuale, come in alcune sue opere precedenti.

 

Genitore naturale de Il diritto di uccidere, pur affrontando lo stesso tema, mi è sembrato più introspettivo (nel ritratto intenso del magg. Egan e dei suoi dubbi) che politico, meno capace di esprimere il pathos ma a causa della ripetitività delle azioni, quando invece in quell'altro si era costruita una trama in cui l'azione era unica e legata ad un tempo-limite.

 

Ma la domanda-chiave a un certo punto è: "E se un giorno anche loro avessero dei droni?"

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