Regia di Michele Placido vedi scheda film
Ci vogliono 20 minuti abbondanti di girovagare confuso nella commedia dislocata (troppi personaggi, ambienti e situazioni privi di senso) per arrivare all’Innesto pirandelliano: Laura viene sequestrata e stuprata per tre ore. Dopo lo shock post-traumatico, vuole ricominciare a vivere e amare. Il marito Giorgio, invece, è ossessionato dal vissuto per interposta persona: vuole conoscere l’accaduto, perciò forza la mano e insiste, tanto più quando la moglie scopre di essere incinta, scontrandosi con l’ermetismo della donna. «È successo qualcosa dentro di me e vi state occupando tutti dell’esterno», afferma lei, in uno tra i mille dialoghi da fotoromanzo che infestano la tonnara di luoghi comuni e ripetizioni imbastita da un Placido ansioso di reimboccare la corrente inerte del suo cinema, abbandonata dopo gli scult Ovunque sei e Il grande sogno che, riletti alla luce di questo trattatello antiabortista da tavola calda, paiono pietre miliari del melodramma. Un’ora di Bova che insegue e si irrigidisce, chiedendo spiegazioni; un’ora di Angiolini tutta sguardi, isterismi e corse, senza mai uno scarto psicologico evolutivo nel personaggio; un’ora di commenti musicali invasivi e didascalici, di svolte ingiustificate, di falle nella continuità di montaggio, di sensualità di coppia inferiore a quella di uno scaldabagno, di visioni dell’uomo e della donna a dir poco medievali (lui non capisce, lei non è capita). Un’ora, ma sembrano cinque o sei.
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