Regia di Tim Blake Nelson vedi scheda film
L’iperbolico sviluppo economico e sociale che ha marcato a ferro e a fuoco la società occidentale negli ultimi decenni, contiene delle macroscopiche contraddizioni. Da una parte, ha permesso conquiste di volta in volta inimmaginabili solo pochi lustri prima. Dall’altra, ha portato in dote una crisi dei valori, con la felicità sfuggente, ad andar bene, effimera.
Un contesto che ha piegato le anime deboli, all’interno del quale anche l’atto generoso non viene ricompensato come meriterebbe.
Walter (Sam Waterston) è un professore di filosofia, che ha deciso di andare in pensione anche per stare vicino a sua moglie Marcia (Glenn Close).
Sarah (Gretchen Mol) affoga nell’alcol il dolore procuratole dai tradimenti di suo marito Sam (Corey Stoll) che, fingendo di essere in Cina per lavoro, vive una relazione con una donna, la quale vorrebbe intensificare il loro rapporto.
Sophie (Kristen Stewart) è una studentessa assediata da un dilaniante malessere che non riesce a mitigare.
Adam (Tim Blake Nelson) e sua moglie devono affrontare un momento cruciale, durante il quale fanno un’amara scoperta riguardante i loro figli.
L’avvocato Parnell (Rob Morgan) tenta di salvare l’amico d’infanzia Joe (K. Todd Freeman) dalla dipendenza dalla droga.
Le loro battaglie finiranno con incrociare le traiettorie.
Anesthesia è un film mingherlino, un affresco corale con cui Tim Blake Nelson, già regista dei mediocri “O” come Otello e Fratelli in erba, oltre che attore amato dai fratelli Coen (Fratello, dove sei? e La ballata di Buster Scruggs), discetta del male di vivere che attanaglia la società moderna.
Giovandosi di un corposo agglomerato di stati d’animo, comprende un ampio spettro di problematiche - dal cancro alla droga, dall’alcolismo agli atti di autolesionismo - utili per entrare nel merito dell’involgarimento che ha intaccato le relazioni umane, arrivando a tormentare anche i contatti umani occasionali, tra l’intolleranza e la scortesia riscontrabile quotidianamente.
Questa struttura zigzagante, volteggia senza sosta, instaurando dei vasi comunicanti scoperchiati gradualmente, mettendo un po’ di fieno in cascina un passaggio dopo l’altro.
Quindi, la sofferenza dilagante viene proposta sotto svariate spoglie, con un elenco di vite travagliate, guasti esistenziali insediati su una serie di binomi interpreti/personaggi.
Al centro, troviamo la bussola morale rappresentata del professore Walter Zarrow, un personaggio impreziosito dal talento di Sam Waterston (eccezionale in Urla del silenzio). Intorno, tante fonti luminose con poco tempo per brillare, come succede a Kristen Stewart, assolutamente in parte nel corpo estraneo di Sophie, torturato da un malessere incontrollabile.
D’altronde, Anesthesia dura appena ottanta minuti, un raggio insolitamente breve per un formato collettivo, e non concede il respiro che servirebbe per l’armamentario sciorinato, in protratto avanzamento tra amicizia e amore, la prima volta e anche l’ultima.
Un problema evidente soprattutto in coda, con una punch line gestita malamente (l’aggressione al centro di tutto è raffigurata in maniera innaturale), e complessivamente simile a un cliffhanger da serie televisiva ma senza una seconda occasione per risolvere le questioni aperte.
Complice anche una cornice televisiva, Anesthesia appassiona, fa percepire quanto sia inestimabile il valore di un attimo, ma lascia interdetti, perché il testo ad ampio spettro meritava più approdi e maggiormente definiti, per far sì che le sue tante stelle brillassero come avrebbero meritato.
Penalizzato.
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