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La felicità è un sistema complesso

Regia di Gianni Zanasi vedi scheda film

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La recensione su La felicità è un sistema complesso

di MarioC
4 stelle

La indubbia capacità di Zanasi di costruire storie "altre" si scontra questa volta con un risultato finale che lascia l'amaro in bocca delle occasioni perse, la convinzione che quello che poteva essere un film dall'altissimo e non replicabile tasso di originalità si perda nei suoi stessi vezzi di autorialità.

Come in Non pensarci Zanasi si affida ad un attore (Mastandrea) la cui espressività, lunare, esagitata, riflessiva, ben si attagli alla poetica non comune delle sue storie sempre sospese tra cadute ed elevazioni, ed ordisce un discorso inusuale su temi poco battuti dal cinema italiano contemporaneo (per semplificare: un’impresa, o più imprese, in crisi, un personaggio che suo malgrado assume scomodi panni salvifici, una ribellione che prima implode poi ha il coraggio di esplicarsi e di espandere il suo effetto liberatorio).

Qui però il risultato finale è blando ed offuscato. Se la forza di Non pensarci stava nello scegliere senza esitazioni la strada di una commedia sociale venata da paradossali controcanti di avvenimenti impronosticabili, ne La felicità è un sistema complesso il regista oscilla e tentenna tra la necessità di far quadrare il cerchio e la non capacità di amalgamare ed emulsionare la materia in un composto che mostri piena unità. Così, il soggetto è riducibile in due righe due di spiegazione (il ragazzo con un difficile passato familiare che è chiamato, un po’ come l’Albanese de L’intrepido, ad un mestiere peculiarissimo: persuadere imprenditori e magnati senza qualità ad abbandonare, prima della catastrofe, aziende in via di decozione e che da quella stessa occupazione rimarrà schiacciato quando qualche meccanismo avrà iniziato a ruotare in virtù di forza propria), ed il suo svolgimento tirato per le lunghe, tra comprimari abbastanza sfocati (Battiston, bonario tossico dal cinismo figlio dei tempi, la Yaron, già vista nell’ottimo La sposa promessa, grillo parlante e coscienza critica ma come inserita a forza tra le pieghe di una sceneggiatura che, nel delineare la sua figura, pare vittima di una strana aporia: il rapporto tra il ragazzo e l’ospite inattesa appare estraneo al contesto eppure, con molte forzosità, sarà proprio quel rapporto a garantire il finale necessario), lunghe ed estenuanti digressioni di fissità inconcludente, seppure nobilitate da quella musica soft-rock che Zanasi sa scegliere con indubbia cura, scene di un nonsense piuttosto imbarazzante (Mastandrea che, anche per conquistare l’amore o la fiducia della ragazza, canta una canzone nel suo strano slang italo-israeliano).

 

Valerio Mastandrea, Hadas Yaron

La felicità è un sistema complesso (2015): Valerio Mastandrea, Hadas Yaron

 

Zanasi è regista di talento: gira bene, segue i personaggi (o forse il personaggio: Mastandrea) con amore e dedizione. Gli va riconosciuto anche il coraggio di tirare le fila di discorsi non propriamente didascalici e di azzardare una critica sociale che faccia della leggerezza la sua leva pitagorica. Ma in questo film manca una reale dose di cuore, potremmo dire di naturalità: le stesse riprese eleganti e sinuose, un po’ troppo debitrici a quel sorrentinismo che sembra diventata la professione fideistica dei troppi autori da vorrei ma non posso, oso ma con giudizio, risultano soltanto virtuosismi calligrafici che allungano il minutaggio senza elevare la altrui immedesimazione. E’ questo il vero peccato dell’opera: la scarsa capacità di coinvolgere, il delineare una strada su cui gli spettatori sono condotti tra infinite deviazioni, moderni Hansel e Gretel (e due fratellini spauriti pur compaiono, anzi sono i reali protagonisti non troppo recitanti) sperduti e un po’ confusi tra le montagne del Trentino. Lo stesso Mastandrea, bravo oltre ogni ragionevole dubbio, appare come non convinto del risultato finale dell’operazione: declama le sue battute e le accompagna con le consuete espressioni facciali sardoniche (suo marchio di fabbrica DOC), tenta ed abbozza un’ironia rabberciata, che a volte colpisce nel segno, altre lascia una sensazione di inutilità, ma è come se il vestito del personaggio stavolta non aderisse perfettamente alla sua cifra attoriale. La felicità è un sistema complesso è un piccolo inciampo nella carriera promettente di un regista che possiede uno stile e una poetica e che quello stile e quella poetica è capace di trasfondere nei propri lungometraggi. Dispiace quando, a scapito della generale gradevolezza, quello stile e quello poetica diventano un mero esercizio di.

 

Valerio Mastandrea

La felicità è un sistema complesso (2015): Valerio Mastandrea

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