Regia di Gianni Zanasi vedi scheda film
TFF 33 – Festa Mobile
“Non pensarci” (2007), era stata una delle rare commedie italiane a cambiare con successo qualche carta sul piatto negli anni 2000, da allora Gianni Zanasi non ha più diretto un lungometraggio, per cui questo suo ritorno non poteva che destare curiosità e pure una certa attesa.
Ritrova nuovamente Valerio Mastandrea ed i due paiono intendersela alla grande, tanto da apparire coordinati come un unico elemento donando alla pellicola quella vitalità che le permette di scavallare più di un inceppo negli automatismi.
Il lavoro di Enrico Giusti (Valerio Mastandrea) è decisamente particolare e, come lui stesso esclama, è il migliore, non fosse altro, perché è l’unico a farlo.
Il suo obiettivo è infatti quello di convincere gli imprenditori, soprattutto giovanissimi e destinati a mandare al macero le loro aziende a cederle salvando con l’attività anche i posti di lavoro.
Poi una sera inciampa nella ragazza (Hadas Yaron) di suo fratello e poche ore dopo è chiamato alla sua opera di convincemento verso un universitario che ha appena visto morire i suoi genitori ereditanto una fortuna.
Su entrambi i fronti, Enrico avrà parecchio da imparare, la vita non è (sempre) fatta di compartimenti stagni.
Quando l’imperfezione diventa arte ed i difetti, evidenti e molteplici, scalfiscono solo in parte un andamento a strappi, ma capace di raggiungere punti di entusiasmo contagioso.
Si respira una nitida passione nel lavoro di Gianni Zanasi, l’altra faccia di “Belli di papà” con un giovane “bamboccione” che non capirà molto, ma che nel momento nel quale la crescita diventa obbligatoria, pur con tutti i suoi limiti, non vuole tirarsi indietro.
Dall’altra parte ci sono gli avvoltoi, in mezzo l’esperto affabulatore Enrico che solitamente i giovani figli senza volontà li considera delle cavallette, perché capaci di distruggere decine di anni di lavoro in pochissimo tempo.
Una triste realtà che è frutto dei nostri tempi inglobati in un mondo imbarbarito sul quale Gianni Zanasi lascia spazio alla speranza (piuttosto ingenua, ai limiti della favola), senza dimenticare comunque una voce contro più realistica; il futuro sarà come sarà, intanto cominciamo a giocarci il presente, che già non sarebbe poco, cercando di raggiungere quella felicità che ordinamenti ed interessi hanno di fatto soffocato nel grigiore dell’attualità .
In parallelo con questo riquadro di sfide, c’è poi il rapporto frutto del caso, o meglio della paura del fratello di Enrico (che simula la “grande fuga” del giovane senza spina dorsale), tra una giovane ragazza israeliana ed Enrico stesso, occasione perfetta per far rendere al massimo Valerio Mastandrea, sempre più idolo, perfettamente inserito in un contesto che lo chiama più volte a confrontarsi con le situazioni più assurde e tragicomiche (risolvendole in tema), nelle quali può dar massimo risalto al suo più unico che raro umorismo che appare dettato dall’estemporaneità (difficile capire dove arriva la sceneggiatura e dove parte lui).
Al contrario Giuseppe Battiston è chiamato in causa raramente, in un ruolo comunque portatore di negatività, mentre Hadas Yaron appare come funzionale corpo estraneo fin dalla sua entrata in scena e contribuisce a rendere ancor più fuori dagli schemi un film che sogna di essere dannatamente libero.
E lo è anche attraverso un fortissimo utilizzo della musica che spazia dalla techno più spinta ed incalzante alle note (testi e voci) più dolci (devastante e ripetuta più volte, “In a manner of speaking” dei Nouvelle Vague), per una colonna sonora capace di contrappuntare l’atmosfera che si respira sul momento.
Rimane una pellicola segnata da una caparbia ostinazione, al netto di lungaggini eccessive, scene di troppo, sbalzi di ritmo, parti fin troppo interpretabili, insomma un po’ tutto quanto non dovrebbe esserci, ma il resto abbonda e poi capita sempre più di rado che una pellicola, tanto più se italiana e in formato commedia, anche se con delle finalità oltre il riso, riesca, pur parlando di argomenti tangibili, ad uscire dal seminato senza calcolare ogni mossa per filo e per segno.
Forse la vita non è sempre un sistema così complesso da interpretare.
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