Regia di Bill Condon vedi scheda film
Sherlock Holmes è da sempre al centro di trasposizioni, più o meno riuscite, tratte dai numerosi romanzi di cui il personaggio è stato protagonista tramite la penna sciolta e geniale dello scrittore Arthur Conan Doyle. Dopo i due fortunati e roboanti blockbuster interpretati dalla star Robert Downwy Jr., la riproposizione del personaggio dell’infallibile (o quasi, come impareremo qui) investigatore privato londinese, torna (trascorsi oltre venticinque anni dal non banale “Senza Indizio”, forte soprattutto della coppia Caine-Kingsley) ad occuparsi di un Holmes maturo, se non decisamente anziano.
Ma questa volta il film del valido, ma spesso un po’ calligrafico, manierato regista Bill Condon, (troppo spesso ultimamente letteralmente circuito dalla causa/tentazione verso il blockbuster dai grandi numeri ma dalla scarsa ispirazione), tralascia eventuali rivendicazioni protagoniste del fidato ma soccombente Watson, ed anzi addirittura finisce qui per mettere in ombra lo stesso fidato aiutante-medico del nostro investigatore, per concentrarsi sulla figura del nostro risolutore di misteri, colto qui ad una età ormai avanzata, quando la memoria e la mente, per quanto brillanti ed ancora efficacemente deduttive, cominciano a richiedere qualche aiuto e si lasciano andare a qualche lieve fumosità dovuta ai condizionamenti inevitabili del tempo che passa.
Seguiamo pertanto il nostro anziano ed ormai ultraottuagenario nemico del crimine mentre ritorna da un lungo viaggio in Giappone, ove si è procurato una rara pianta di pepe, a cui alcune credenze popolari locali attribuiscono forti proprietà per mantenere lucida ed allenata la mente.
Riconoscere le proprie debolezze è già di per sé un sintomo di intelligenza e questo Holmes, preoccupato, ma nel contempo tutto proteso a trovare una soluzione ai suoi problemi di declino fisico-mentale, ci piace e ci intenerisce al contempo.
Fatto sta che la pianta dovrebbe aiutare l’anziano a tornare su un caso, l’unico irrisolto tra i suoi molteplici affrontati in decenni di carriera gloriosa, di cui l’uomo non riesce tutt’ora a riaversi e a mettersi l’animo in pace.
Solo, abbandonato come detto dal fido Watson, che gli ha preferito comprensibilmente una famiglia di tipo tradizionale, Holmes vive confortato dall’aiuto materiale e psicologico di una dolce governante e del figlio-bambino di questa, quasi un nipote per l’investigatore, che gli vuole bene nonostante non riesca a togliersi di dosso un atteggiamento un po’ austero, per quanto compiaciuto e benevolo nei confronti di un ragazzino intelligente e sin brillante.
Gli sviluppi di una trama gialla legata alla riapertura del caso, sono poca cosa rispetto all’aspetto intimo relativo alla famiglia anomala ed allargata in cui ci fa entrare come osservatori privilegiati la camera del regista Condon, peraltro ben avvezzo a trovarsi uno straordinario mattatore come Ian McKellen al centro dell’azione (si fa per dire).
Ben lontano dalla riuscita di quel sensibile e ispirato “Demoni e dei” di quasi un ventennio orsono, Mr Holmes nasce come un’operazione costruita un po’ a tavolino e per nulla necessaria, che tuttavia, proprio alla grazia interpretativa del celebre attore britannico, coadiuvato dalla sempre splendida Laura Linney, finisce per cedere ed adattarsi, rendendosi in tal modo più godibile ed apprezzabile di quello che potrebbe pensarsi facendosi guidare da un istinto premeditativo.
Di fatto è straordinario come McKellen riesca a calarsi nel personaggio maturo di un recente passato, e poi in quello vecchissimo della contemporaneità, rendendo perfetta e umanamente credibile la postura incerta a cui costringe inesorabilmente l’incedere crudele degli anni; e mettendo in risalto ancora una volta, come piatto forte della scena, quegli occhi cerulei vivissimi che ispirano immortalità o comunque tutt’altra impressione che la senescenza, dalla quale contrastano con arguta fierezza.
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