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Andiamo a quel paese

Regia di Salvo Ficarra, Valentino Picone vedi scheda film

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La recensione su Andiamo a quel paese

di Spaggy
8 stelle

locandina

Andiamo a quel paese (2014): locandina

Andiamo a quel paese, quinto film in solitaria della coppia Ficarra e Picone, racconta la storia di Salvo e Valentino, due amici che, come recita il titolo, lasciano Palermo, la grande città, per ritornare al paese d’origine, perso in una remota landa che per le cartine geografiche è ancora Sicilia. La destinazione si chiama Monteforte, borgo fermo nel tempo la cui popolazione è composta per gran parte da cittadini che hanno di gran lunga superato i settant’anni. Per i due, soprattutto per Salvo, il trasferimento non è indolore: abituato alla vita di città, fatica ad accettare l’idea di dover vivere imprigionato all’interno di una realtà da L’alba dei morti viventi. Con una moglie e una figlioletta a carico, Salvo necessita altresì di trovare un lavoro: vero o finto che sia, l’occupazione diventa la sua priorità principale. E quale miglior idea di quella di trasformare la propria abitazione in una casa di riposo per “vecchi”? La soluzione la dettano le circostanze e trasformare il “nemico” in “alleato” è anche abbastanza redditizio. I pensionati sono l’unica categoria di persone che possono disporre di un reddito mensile fisso e, in certi casi, molto al di sopra della media dello stipendio di un comunissimo operaio.

Con Valentino reticente all’idea e con una laurea in scienze della comunicazione che spera presto di sfruttare in qualche modo, la casa di riposo prende vita e per un anno tutto fila liscio. I palermitani, sotto l’occhio pettegolo dei montefortiani, mandano avanti con successo l’attività fino a quando una barretta di cioccolato scatena un’imprevedibile catena di eventi, in conseguenza dei quali i “residenti” dell’improvvisata casa di riposo si convincono di essere finiti in una magione stregata. Persa la fonte del reddito e con un nuovo figlio in arrivo, il geniale Salvo ne escogita un’altra delle sue: assicurarsi per sempre la pensione della zia Lucia pianificando il matrimonio della stessa con Valentino e destando scandalo nel paese.

 

scena

Andiamo a quel paese (2014): scena

 

Con una linea narrativa ben fissa ma allargata da sottotrame mai invadenti, Andiamo a quel paese non perde di vista nei suoi 90 minuti il metaforico nucleo centrale che la sceneggiatura degli stessi Ficarra e Picone, coadiuvati da Fabrizio Testini, Edoardo De Angelis e Devor De Pascalis, fissa sin dall’inizio: Monteforte è infatti usato come escamotage per raccontarci dell’attutale Italia. In letteratura, si direbbe nella fattispecie che Monteforte è una sineddoche, figura retorica che sostituisce il tutto con una specifica parte. Il copione, all’apparenza semplice, diviene commedia sociologica e sociale in breve tempo: la comunità di anziani di Monteforte è l’Italia sempre più vecchia, la crisi occupazione giovanile si allarga all’intera nazione e non concerne solo la Sicilia, le spine legate a lauree sempre più settoriali e al contempo sempre meno “occupazionali” si estende all’intero Paese, il sistema pensionistico e la raccomandazione (con annesso lo spinoso dramma dell’inadeguata classe politica) non sono considerati una manna dal cielo solo dal duo di attori e (spoiler alert) il problema dei preti che non rinunciano all’amore non è solo un argomento da paesino desolato. Il paesaggio arido della Sicilia del sud (Monteforte è in realtà Rosolini, comune all’estrema punta meridionale dell’isola), in un luogo che è più vicino all’Africa che all’Italia, è il simbolo dell’aridità economica di un’intera Nazione non più capace di rimboccarsi le maniche e di andare avanti.

Ci vuole molto coraggio nell'asfittico sistema produttivo italiano nel tentare di raccontare la scena sociale senza scadere nel dramma patetico o nella commedia ridanciana. Siamo abituati a commedie in cui tutto funziona alla perfezione e in cui i Natali sono sempre sfarzosi e ricchi. Siamo avvezzi a un’Italia cinematografica in cui tutti i protagonisti vivono in una dimensione sospesa, guidano macchine di lusso, abitano in case firmate da Renzo Piano e vestono Dolce & Gabbana. Ficarra e Picone si prendono, invece, sulle spalle la responsabilità di guidarci attraverso il sorriso e il grottesco verso la riflessione. E lo fanno proponendo allo spettatore una storia in cui è vietato piangersi addosso, in cui l’arte di arrangiarsi si tramuta in arte di sopravvivere e in cui occorre far buon viso a cattiva sorte. Senza mai negarsi la battuta tagliente o volutamente a effetto, i due attori palermitani si inseriscono con eleganza in quel filone aperto l’anno scorso da Claudio Amendola con La mossa del pinguino e seguito all’inizio di quest’anno da Smetto quando voglio di Sydney Sibilia ma, a differenza dei suddetti, scelgono un punto di vista molto più realistico e vicino alla pancia. Si immergono nella contemporaneità e lo fanno con il punto di vista della gente comune, quella che fatica ad arrivare a fine mese e che spesso ospita nelle proprie case zii, nonni e parenti vari anziani, per farsi aiutare dalle loro pensioni. Il tutto trattato, però, con i buoni sentimenti: non c’è cattiveria nelle azioni dei due, semmai sana malizia e caricatura grottesca.

 

Valentino Picone, Lily Tirinnanzi, Tiziana Lodato, Salvo Ficarra

Andiamo a quel paese (2014): Valentino Picone, Lily Tirinnanzi, Tiziana Lodato, Salvo Ficarra

 

Scegliere il grottesco, si sa, è un rischio a priori. Se non si dosano bene gli elementi, si può scivolare nell’esagerato. E in Andiamo a quel paese il pericolo è sempre dietro l’angolo: a reggere l’equilibrio ci pensano i continui colpi di scena narrativi inseriti ad hoc. Quando l’atmosfera sta per surriscaldarsi troppo o per spegnarsi, Ficarra e Picone aggiungono gli elementi di svolta che cambiano il corso della storia: quando si pensa come andrà già a finire, arriva il colpo di teatro che rimescola sapientemente le carte. Senza barare, tirano fuori l’asso dalla manica e, da bravi giocatori, lo inseriscono nella partita, lasciando il tavolo sorpreso da tanta maestria. Si omaggia Germi (il paragone è dettato anche dai luoghi della storia) ma non è difficile intravedervi quella sana cattiveria che Monicelli era solito dosare nelle sue opere (si pensi soprattutto a Parenti serpenti).

Decisamente il film più maturo del duo, Andiamo a quel paese si avvale di un cast di attori noti e meno noti, un unicum indistintamente sorprendente. Con Ficarra e Picone ormai diventati i novelli Totò (cinico) e Peppino (vittima consenziente), piace sottolineare come Andiamo a quel paese abbia dato spazio a eccelsi caratteristi come Lily Tirinnanzi, Mariano Rigillo (l’indimenticabile Nino Bixio di Bronte) e Ludovico Caldarera, concedendo loro la possibilità di farsi notare al grande pubblico. La sorpresa, però, sono le due protagoniste femminili - Tiziana Lodato e Fatima Trotta – e il buon comparto locale (da Stefania Blandeburgo a Salvo Piparo, passando per Pippo Santostefano, Toti & Totino e la piccola ma già superlativa Maria Vittoria Martorelli), che mai sfigurano accanto ai “partecipanti straordinari” Nino Frassica e Francesco Paolantoni. Last but not least, un plauso va anche al reparto tecnico del film: in primis, alla scenografa Paola Bizzarri (finalmente delle comunissime abitazioni) e al musicista Carlo Crivelli (le cui note sottolineano l’azione senza mai sovrastarla). Necessitavamo di questa boccata d’ossigeno, priva - caso quasi unico in Italia - di trivialità e linguaggio boccacesco.

 

Andiamo a quel paese (2014): Trailer ufficiale

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