Regia di Olivier Megaton vedi scheda film
I successi, soprattutto se di buone proporzioni e ottenuti senza dover spremere troppo le meningi, fanno un gran bene al portafoglio (delle major), meno alla ricerca d’idee che possano sostenere una trama dall’inizio alla fine.
Così nasce anche Taken 3 – L’ora della verità, dopo le perplessità suscitate da Io vi troverò e l’affossamento di ogni forma di credibilità del successivo Taken – La vendetta, che allargava il raggio d’azione, qui ripreso, almeno nelle caratteristiche fondanti.
Ci vuole veramente poco per capire quale sarà l’andazzo.
Mentre sua figlia Kim (Maggie Grace) è alle prese con un momento delicato della vita, la sopraggiunta tranquillità di Bryan Mills (Liam Neeson) è scossa dall’omicidio di sua moglie Lenore (Famke Janssen). Gli bastano pochi minuti per capire di essere stato incastrato come presunto colpevole, così che, tallonato dalla polizia guidata da Franck Dotzler (Forest Whitaker), si getta a capofitto nella ricerca del reale artefice dell’uccisione, per potersi scagionare e salvare sua figlia, inevitabilmente in pericolo.
Scritto senza particolare verve da Luc Besson, che quando è produttore ma non regista tende a perdere del tutto la sua spinta grandeur (vedi l'imminente Valerian e la città dei mille pianeti) e la predisposizione al rischio, Taken 3 – L’ora della verità inanella luoghi comuni, validi giusto a sostenere un ritmo elevato, aspetto riscontrabile in tutta la produzione del regista Olivier Megaton, da Red siren a seguire, senza mai prendere neppure in considerazione alcuna forma di detour.
Così, l’iniziale ritratt(in)o di famiglia scandisce semplicemente l’equilibrio di partenza dei Mills, subito accompagnato da una scena action veloce e un po’ crudele. I nodi vengono presto al pettine: enfatizzazione senza controllo delle componenti drammatiche, ingenuità macroscopiche (nessuno può pensare che Mills possa essere così sprovveduto da raccogliere da terra un coltello insanguinato) e basso livello di verosimiglianza, d’altronde è anche Mills è invisibile, invincibile e inafferrabile.
Queste lacune condizionano l’effetto dell’azione, di suo di buona intensità, non conoscendo né intoppi, né rallentamenti, indotta a calpestare ogni frapposto ostacolo senza pudore, rendendo la new entry Forest Whitaker, comunque sopra la sufficienza la sua interpretazione, meno efficace di quanto avrebbe potuto essere.
Di prassi l’interpretazione del resto del cast, con Liam Neeson in fase di continuo riciclo (gli anni dell’impegno, tra Schindler’s list e Michael Collins, sembrano appartenere a un’altra era), qualche discreto volto nel contorno (vedi Leland Orser) e, in generale, figure tendenti allo stereotipo.
Dunque, tutto pare volutamente incanalato per soddisfare il pubblico di riferimento, evidentemente numeroso, sfruttando il già visto, come la caccia della polizia e la necessità di Mills di scagionarsi, appartenenti a un modello visto in centinaia di film, generando carambole e chiasso, con colpi di scena di effetto marginale e un unico obiettivo: sostenere l’azione e il suo eroe, Bryan Mills.
Tutto già visto e in forme decisamente migliori (non ci vuole poi molto).
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