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Il tagliagole

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su Il tagliagole

di Peppe Comune
8 stelle

Hèlène (Stèphane Audran) è direttrice e maestra della scuola elementare della piccola cittadina di Tremolant en Pèrigord. Vive da sola e non ha alcuna intenzioni di legarsi sentimentalmente perchè una decina d'anni prima ha subito una cocente delusione amorosa da cui non si è ancora totalmente ripresa. Gli basta vivere in perfetta simbiosi col suo amato lavoro. Popaul (Jean Yanne), invece, gestisce una macelleria ereditata dal padre. Ha vissuto per quindici anni la terribile esperienza della guerra d'Indocina rimanendone profondamente segnato. I due si incontrano al matrimonio di comuni conoscenti e da li stringono un amicizia che si fa sempre più forte. Ad un tratto, la tranquilla vita di paese viene sconvolta da una serie di efferati omicidi che fanno pensare alla possibile presenza di un serial killer.

 

Stéphane Audran, Jean Yanne

Il tagliagole (1969): Stéphane Audran, Jean Yanne

 

Sullo sfondo di un tipico ambiente di provincia, Claude Chabrol sviluppa un intreccio che passa dal melò al noir con elegante disinvoltura, con un occhio fisso sull'incontro di due solitudini che fa affiorare il ritorno di un sentimento amoroso probabilmente salvifico sia per Hèlène che per Popaul, ed un'altro attento al sangue versato da innocenti fanciulle che riporta l'attenzione sulla brutale istintività delle pulsioni umane più violente. Amore e morte convivono con estrema naturalezza dunque, presupponendo nella loro intima coesistenza la presenza ingombrante di un passato duro a cadere nell'oblio, carico di cattivi pensieri e colmo di ferite che non si chiudono. Hèlène ha paura di innamorarsi perchè teme di rimanere di nuvo da sola. Non che viva questa condizione con troppi problemi, anzi, è assolutamente inserita nel suo milieu ed è felice del lavoro che fa. Ma la presenza di Popaul fa riaffiorare sensazioni sopite e si vede costretta a fare i conti con i reali sentimenti che prova per il macellaio quando si ritrova a dover nascondere anche a se stessa una verità che potrebbe comprometterlo. Popaul è ossessionato dai fantasmi della guerra, dal sangue che ha visto scorrere a fiumi e dai corpi martoriati dalle bombe ammassarsi l'uno sull'altro. Sembra quasi poterli esorcizzare con il suo lavoro quei fantasmi, ma il sangue "ha sempre lo stesso odore", dice Popaul, quello degli animali e quello degli uomini, e non va mai via. A entrambi sarebbe bastato fare un passo avanti sulla linea dove si addensano i ricordi più bui, per ritrovarsi a vivere un altro presente probabilmente, o almeno fare un tentativo. Hèlène avrebbe pututo vincere le sue pene d'amore e riscoprire il piacere di essere donna. Popaul sconfiggere le sue paure visto che solo quando "c'era lei non c'era più sangue, non ci pensavo più". Invece, ognuno rimane al punto di partenza, senza un evoluzione esistenziale che possa disinnescare sul nascere ogni pulsione primitiva presente nell'uomo e con il destino a compiere il suo inevitabile percorso. Bellissimo il finale con il triste epilogo di un bacio raggelante, dove le complesse psicologie di Hèlène e Popaul si profilano in tutta la precarietà emotiva con cui sono state mirabilmente carattrizzate da Claude Chabrol. Personalità che si legano in una raffinata linearità narrativa con le emblematiche parole di Hèlène la quale, durante una gita nelle grotte "preistoriche" di Cougnac-Gourdon (simbolo della primitiva istintività violenta dell'uomo), chiede ai suoi alunni "come si chiamano i desideri quando si allontanano dallo stato selvaggio ? Aspirazioni", risponde essa stessa. Parola chiave, che per l'uomo ha significato emanciparsi dalla brutalità dei suoi più bassi istinti, quelli che la società civile si preoccupa di addomesticare col tentativo annullarli del tutto, e che la guerra si premura di far riemergere in tutta la sua primordiale violenza. E a Chabrol per fare de "Il tagliagole" una riflessione sulla natura violenta della società che arma la mano dei suoi potenziali carnefici. Con l'eleganza sorniona di sempre, usando il "genere" per parlare dell'uomo, della politica e, come in questo caso, condannare a suo modo l'abitudine primitiva di farsi la guerra. 

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