Regia di Jaco Van Dormael vedi scheda film
Dio è un bastardo e tratta male moglie e figlia. A dircelo è proprio la figlia di dieci anni, "Ea", a ridosso dell'inizio. La famiglia del Supremo vive a Bruxelles (ovviamente manca il primogenito) in un appartamento di medio squallore senza apparenti vie d'entrata o uscita. Dio (Benoit Pervoelde) gira per casa in vestaglia, canottiera e sandali su calzini bianchi e per distrarsi si chiude nel suo studio dalle pareti senza fine foderate di schedari (atmosfera à la BRAZIL) a giocare al computer con la sua creazione, provocando incidenti o istituendo nuove leggi universali per dar noia agli esseri umani. Tra le altre: "una fetta di pane e marmellata cadrà sempre dalla parte della marmellata e se non è così la marmellata è stata spalmata sul lato sbagliato" oppure "quando un corpo s'immerge in una vasca da bagno è certo che suonerà il telefono" (entrambe erano già note come "leggi di Murphy"). Un giorno Ea, per vendicarsi delle cinghiate punitive di Diopadre, decide di rivelare a tutti gli esseri umani tramite sms quanto resta loro da vivere. Dopodichè cambia password al computer (senza il quale Dio è completamente impotente) e grazie a una dritta di JC (il fratello) scappa di casa e va alla ricerca di sei apostoli che l'aiutino a scrivere "le tout nouveau testament" ("il nuovissimo testamento", titolo originale). Sarà ovviamente inseguita dal padre-orco.
Ci sono molte idee, un immaginario spumeggiante e molto da ridere in "le tout nouveau testament", ma avrei preferito che avesse preso un'altra strada. La sfacciata aggressività dell'incipit mi aveva fatto sperare in una satira blasfema più mirata, in uno humor nero che andasse a colpire elementi più sostanziali del rapporto tra Dio, fede e "creature". Invece, dopo qualche divertente nota sui capricci di un Dio burbero, sadico e annoiato (che gioca ai disastri come Gomez Addams), appare chiaro che la maggior parte delle attenzioni sono riservate alla figlia di Dio (non a caso il film inizialmente doveva intitolarsi "La fille de Dieu") e al suo surreale ma "non scomodo" viaggio (ri)formativo punteggiato tangenzialmente dal calvario di contrappassi comici che il padre-orco per nulla divino si trova a patire in un mondo (da lui) così malfatto.
Il vero spunto generatore si rivela essere la diffusione su scala mondiale delle date di scadenza degli esseri umani (fatto che, sbraita l'Altissimo, gli toglie lo strumento con cui "tenerli per le palle"). In questo cambiamento di prospettiva i nuovi apostoli, più che riportare vita e parole di una profetessa, saranno chiamati ad essere loro stessi profeti, imparando grazie ad Ea a conoscere sè stessi, ascoltarsi e a dar senso al tempo che rimane. Dalle loro esperienze nasceranno i passi di un testamento tutto nuovo fatto a misura d'uomo.
La macchina comico-immaginifica di Van Dormael procede sicura e produttiva. Sfoggia dapprima tutti i paradossi che si generano dal cercare di evitare una morte scritta o dal voler sfidare la morte quando non è il tuo momento (qui c'è spazio per del bell'umorismo nero) e in seconda battuta punta su degli improbabili apostoli, sulle loro vite e sulla bizzarria dei loro desideri più profondi. La storia conserva una forza creativa che non manca di produrre diverse trovate visive (l'uomo guidato dallo stormo d'uccelli, i polli al cinema, il cielo...) e momenti più intimi e sentiti affidati alla divina ingenuità di Ea ( il suo amare l'odore forte e composito del suo accompagnatore/barbone/scrivano; la capacità di sentire la musica interiore delle persone... e non in senso figurato), o affidati al viaggio verso la piena realizzazione degli apostoli, viaggio costellato di ricordi e di esperienze sensoriali e sensuali.
Non posso che essere d'accordo con chi ha avvicinato lo stile di "le tout nouveau testament" a quello del Jean-Pierre Jeunet di DELICATESSEN e soprattutto di AMELIE. La tenerezza e il candore altruista di Ea la richiamano a viva forza e di AMELIE c'è anche il tono complessivo (e finale): positivo, colorato, stralunato e decisamente umanistico. Qui però, come si diceva, c'era la possibilità di fare qualcosa di più incisivo, qualcosa che risuonasse più provocatorio e iconoclasta. Qualcosa di più personale. Ma alla carica eversiva delle battute iniziali non si dà seguito e si finisce per battere una strada più ordinaria e meno spigolosa: in fondo stanno poi punendo e ridicolizzando un Dio senza potere che del Dio a cui siamo - più o meno - abituati aveva solo il nome fin dal principio. In ultima analisi, quindi, l'anarchia si è fatta sistema sia in relazione allo spirito che alla struttura del film (sviluppato ordinatamente come un buon prodotto d'intrattenimento dal percorso inevitabile) e a fronte di queste atmosfere sempre più felici e realizzate viene una certa voglia di tifare per 'sto povero diavolo di Dio decaduto e di rimpiangere i suoi goliardici dispetti all'umanità.
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