Regia di Pete Docter vedi scheda film
E' sempre bello vedere una sala piena: talmente piena che noi, in ritardo perenne (cioè io ritardataria cronica) ci infiliamo nelle ultime poltroncine libere in prima fila! Mai stata in prima fila, praticamente una visione quasi in 3D senza il sovraprezzo. E' sempre bello vedere una sala piena di bambini: perchè sono il futuro (fra fatta ma chi la potrebbe mai contestare?), singolo e collettivo. Agitati ed emozionati, prendono la serata come una festa infrasettimanale: risate, chiacchiericcio e masticate selvagge. Fra loro, non mancano comunque gli adulti: non solo accompagnatori, anche volontari e volenterosi. Mi dico: vedremo, vedremo .... le facce alla fine. Il mio vicino alto due mele e poco più (diciamo, otto anni?) è già un critico in erba: spiega tutto all'amichetta, che ci sta la rabbia rossa, i sentimenti si disegnano, il compagno di banco ha detto che il cartone fa veramente schifo perchè "è da femmine" ma lui, lui non ci crede: vuole vedere con i suoi occhi, che un cartone faccia schifo! a parte le Winx si intende, la faccenda non lo convince: improbabile. Mi viene già da ridere, ok, buio in sala e si parte .....
Cortometraggio di ingresso, i vulcani. Canzoncina convenzionale, ma noi, lì sotto lo schermo, siamo già ai Caraibi! Ma non era questo "Inside out"? Il parterre rumoreggia, sgranocchia popcorn nervosamente, qualcuno pure piange. Il critico poco più che in fasce è silenzioso, in attesa. Schermo nero e si riparte: speriamo sia la volta buona. Le prime immagini sono splendide: un fagottino umano che emerge dallo sfumato e prende vita in un tripudio di gorgheggi e, abbastanza evidentemente pianti.... E poi, e poi...
E poi, lo ammetto: sono una tradizionalista. Per me i cartoni animati sono una "interpretazione" grafica della realtà. In parole povere: che senso ha disegnare umani, soprattutto umani che siano proprio umani, iper-reali intendo? Per quello, scusate tanto, c'è il Cinema. Fatto di attori, buoni o cattivi che siano. Mi pare, più che altro, una deriva Pixar: già a questo punto con "Up". Meglio: un piano industriale ed una politica commerciale precisa: quella di puntare ad un pubblico più ampio, l' adulto. In una società, la nostra, dove i bambini sono sempre meno (numericamente) e l'infanzia è relegata in un arco temporale costantemente risicato - tant'è che oggi si parla di "preadolescenza" dal 9-10 anni per le femmine fino ai 14 per i maschi, fase antecedente l'adolescenza che sarebbe dai 12 ai 17 anni ma che poi, non portiamo forse ben oltre? Se, alla rincorsa della giovinezza ad ogni costo ed allo scarto veloce delle resposabilità i cinquantenni di oggi sono i quarantenni di ieri, i trentenni di oggi i ventenni di ieri ....? Ecco dunque che il "classico" cartone animato con protagonisti animali (veri o di fantasia) o oggetti umanizzati - ricordate Disney ma anche Warner Bros che volutamente non mostrava i volti di uomini e donne? (da "Lilli e il Vagabondo" a "Tom e Jerry") - viene rivisitato. Resiste, certo (e con esiti splendidi come "Alla ricerca di Nemo") ma in un mercato selvaggio dove gli agguerritissimi rivali non sono solo le altre major (DreamWorks per esempio), non sono solo gli indipendenti come gli italiani, o i giapponesi (che dei cartoni per adulti furono promotori) ma anche e soprattutto le galassie di produzioni derivate dalle televisive che poi compaiono sul grande schermo (pure i russi con "Masha e l'Orso"! E che dire di "Spongebob" o "Peppa Pig"?). Se la commistione film-cartone non è stata ritenuta economicamente e tecnicamente vantaggiosa, e la digitalizzazione estrema ("Avatar") pure (forse, oggettivamente, non siamo ancora "pronti") ecco che Pixar riesce a crearsi uno spazio totalmente nuovo e personale. Anche di critica. Percorrendo la strada del lungometraggio d'animazione che diventa un vero e proprio "film" con attori disegnati e sceneggiature ammiccanti a bimbi cresciuti o adulti bambini. Personalmente non riesco a capire dove stia il valore di tutto ciò, se non, negli incassi ovviamente! "Inside out" è tutto questo, anzi, è forse il punto d'approdo e di congiunzione fra il commuovente "Wall-E", il noiosetto "Up": incomprensibile sotto i 7-8 anni, apprezzabile sopra i 20 solo contando sulla sospensione della incredulità. L'astrazione qui diventa presunzione, e pure semplificazione: a voler "dettagliare" i sentimenti, per forza di cose limitandone numero e caratterizzazioni. Un pizzico di fantascienza, psicologia spiccia a badilate, processi cognitivi in bella vista (troppa vista!), non coinvolge mai: le emozioni sono vivisezionate come i cuccioli in uno zoo danese, imbalsamate come animali in un museo di scienze naturali; occasionalmente prendono vita. Perchè la protagonista non è la giovane Riley, impegnata ad affrontare le difficoltà della crescita: bensì l' inossidabile ed insopportabile Gioia-tutta sorrisi disegnata come un Manga e la cui personalità debordante si perde nella stupidità disarmante. Fra alcune ingenuità di sceneggiatura: la distinzione fra ricordi base e non, distruzioni e ricostruzioni, che però non sono tali perchè anche dalle scorie non si sa come si può riemergere e via discorrendo...forse più che ingenuità veri e propri "scricchiolamenti" nella costruzione e sistemazione di una materia che si vuol rendere fruibile ma che fruibile, detta tutta, proprio non è! Fa da controcanto una riuscita, goffa e spassosa Tristezza (ma qualcosa non torna, se la protagonista irrita, e la co-protagonista ruba la scena). E soprattutto, emerge Bing Bong: orsacchiotto elefantino di zucchero filato rosa immolato alla causa, tenero e speciale, unico "non-umano" più umano di tutti, tanto reale quanto frutto della fantasia. Che qui, diciamolo, viene uccisa metaforicamente dalla consequenzialità adultissima degli eventi e fisicamente dalla scomparsa del povero amico-immaginario nell'inferno dell'oblio. Il finale è scontato (d'altronde il pubblico parteggia per Tristezza). Resta aperto, chissà se a nuove avventure? ed esplicita, pure "dimostrandolo" un messaggio forse, veramente, troppo complesso per essere così banalizzato: l'accettazione del dolore. Politically correct naturalmente (quando la mamma di Bambi veniva impallinata, e la strega di Biancaneve ne ordinava la morte). Tecnicamente cangiante, ma graficamente (tutto digitale, tutto patinato, scenari scontati e poco evocativi) deludente, "Inside out" elimina anche l'apporto tradizionalmente riservato alla musica: Michael Giacchino ai minimi storici (mi era piaciuto invece in "Ratatouille"). Orrida la locandina.
Alla fine, qualche faccia allegra altre deluse, il critico in erba entusiasta ("l'avevo detto io! Che non faceva schifo!") io che ci ho scritto una recensione con troppe parentesi, non so per chi non so attorno a che cosa. Svogliata, un po' svuotata, perplessa di essere perplessa. Ecco tutto.
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