Regia di Pete Docter vedi scheda film
C’è una sequenza, in Ratatouille, in cui l’esperienza di assaporare cibo si traduce in immagini: linee e movimenti astratti, esplosioni di colori, il tentativo di dare forma a ciò che accade alle nostre sinapsi grazie ai sapori. Non ci sembra un caso che agli storyboard di quel film si facesse le ossa Ronaldo Del Carmen, scelto da Pete Docter come co-regista di questo nuovo, epocale titolo Pixar. Che applica quell’esperimento formale a tutto un lungometraggio, con esiti stupefacenti: ambientato all’interno del cervello di una bambina di 11 anni, Inside Out mette in scena i meccanismi della psiche, dalla formazione della personalità alle proiezioni oniriche, mostrando come le emozioni interagiscono con l’ambiente esterno e con le reazioni altrui. Alla plancia di comando ci sono Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto: a turno mettono le mani sui bottoni, e gestiscono così il comportamento della piccola Riley e l’immagazzinaggio dei suoi ricordi lieti o dolorosi. L’età della protagonista non è casuale: travolta da un trasloco (nuova casa, nuova scuola), la mente della bimba subisce una seria “ristrutturazione del personale”, e mentre Gioia e Tristezza viaggiano nei meandri del cervello per recuperare alcuni dei ricordi fondanti di Riley, al timone restano Paura, Rabbia e Disgusto, ovvero le emozioni dominanti nell’arduo passaggio dall’infanzia alla pubertà. Il tripudio di invenzioni visive per dare corpo all’incorporeo (il teatro di posa dove i sogni sono girati come film della vecchia Hollywood; lo struggente segmento dedicato all’amico immaginario, finito nel buco nero delle cose dimenticate; il geniale passaggio sul “pensiero astratto” in cui i protagonisti, da tridimensionali, divengono schizzi e poi quasi ritratti cubisti) superano per grazia e fantasia quanto fatto da Pixar sin qui. Ma non è solo nell’aspetto visivo che Inside Out fa la storia: il suo plot rivoluzionario, anziché?semplificare il messaggio a portata di bimbo, si apre alla complessità della gamma emotiva umana e mette le sorti dell’avventura nelle mani di Tristezza, anti-eroina goffa, statica e pavida. Reietta perché?portatrice di malinconia, si rivela l’arma vincente, scardinando ogni tradizione disneyana sul valore dell’essere sempre allegri e ottimisti: sentirsi tristi è non solo legittimo, ma necessario, per vivere con consapevolezza.
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