Regia di Luca Miniero vedi scheda film
Pronti via ed è subito sgomento. E corto circuito: si inizia con un’animazione (che ogni tanto rifarà capolinea maldestramente) e la musica dei 99 Posse. Anche quella rifarà capolinea, perché i napoletani, anzi «gli africani hanno il ritmo nel sangue». Trattasi di Curre curre guaglió, una volta pezzo eversivo (?) usato in Sud di Salvatores per sottolineare i momenti della protesta più crudi. In La scuola più bella del mondo, invece, imperversa, più invasiva del product placement alcolico e apre le danze a un campionario di scrittura da sociologia della fila alla posta. Un po’ di cinismo dei tempi, piccole dosi di scherno alle incurie istituzionali - la scuola con gli uffici docenti nei cessi - la crisi della sinistra, con l’assessore dedito ai selfie che non conosce Che Guevara, il poliziotto buono e tontolone, De Sica, l’indolenza meridionale, il caffè, gli ziti alla genovese e la pastiera. Poi arrivano i sentimenti e si finisce per pensare che era perfino meglio prima. I modelli a confronto sono la diligente scuola toscana e quella senza speranza di Acerra, gli studenti assennati e quelli che rubano e non sanno i congiuntivi. Due realtà legate da un equivoco che dovrebbe alimentare il verbo comico (ma l’unico momento divertente è Papaleo che dorme con De Sica che russa forte, allora dorme con il suo cane, Attila, che respira forte). Si procede stancamente fino al conclusivo mortale dolly della speranza. Perché alla fine siamo brava gente. No, non lo siamo, ma un cinema così non ce lo meritiamo lo stesso.
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