Regia di Mario Camerini vedi scheda film
In piena guerra, Mario Camerini, già tra i principi della messinscena fascista e gran sacerdote dei telefoni bianchi, ricicla un suo melo drammone di dieci anni prima e lo adatta semplicemente ad altri interpreti, dilatandone un po’ la durata. È un veicolo per Alida Valli, l’attrice più magnetica del nostro cinema, ventitreenne ma già bravissima, alle prese con un ruolo femminile da archetipo (la ragazza madre romantica e sventurata): il codardo e nobile fidanzato la lascia per interposta persona (nella fattispecie una Tina Lattanzi da urlo) e si rifà vivo dopo cinque anni, mentre Alida cerca di sbancare il lunario nel negozio del signor Oscar, in cui lavora il timido ragioniere Gino Cervi che vorrebbe fidanzarsi con lei.
Stereotipi e luoghi comuni a iosa, ma il coinvolgimento c’è soprattutto grazie ad una messinscena che sa dove colpire al cuore dello spettatore più malinconico (pubblico di riferimento del film). D’altronde il titolo è abbastanza eloquente, e in fondo, nei suoi limiti, sta al cinema italiano come certi classici con Bette Davis (penso a Schiava d’amore o Tramonto) stanno al cinema americano. Imperano l’atmosfera mesta e il birignao d’altri tempi e dio sia lodato quando, nel finale, Gino Cervi fa valere i suoi diritti di innamorato sul meschino Antonio Centa. Alla sceneggiatura mise mano anche Sergio Amidei.
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