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Can't Stand Losing You

Regia di Andy Grieve, Lauren Lazin vedi scheda film

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La recensione su Can't Stand Losing You

di nickoftime
7 stelle
E' scritto negli annali che il momento migliore per chiudere una carriera sia quello di farlo all'apice del successo. Se così è, possiamo dire che i Police, banda musicale di massimo culto agli inizi degli eighties, abbiano preso alla lettera l'adagio ritirandosi dalle scene proprio nel momento di massimo fulgore e al termine di un tour mondiale (Il "Synchronicity Tour" che fece segnare l'apoteosi in termini di consenso e di vendite di dischi. A ricordarne le gesta è il bel documentario di Andie Grieve e Lauren Lazin realizzato mettendo insieme immagini di repertorio, filmati amatoriali e, venendo all'attualità, istantanee tratte dalla reentrè della band avvenuta nel 2007 con una serie di concerti celebrativi che anche se non ufficialmente ( la dichiarazione di scioglimento non è stata mai formulata) hanno decretato la fine di un avventura musicale più unica che rara.

 

 

Ma la particolarità di "Can't Stand Losing You" non consiste tanto nella visione del resoconto artistico esistenziale, che, per quanto appassionato e coinvolgente nulla aggiunge al mito del trio formato da Sting Copeland e Summers, bensì nella prospettiva con cui il film ritorna sulle fasi salienti della loro ascesa, letta attraverso gli occhi e il cuore di  Andy Summers, il chitarrista della band. Una scelta non casuale perchè a cominciare dalla particolarità della propria biografia (per mancanza di alloggi Summers nasce in una sorta di carovana comprata dagli zingari) e continuando dalle delusioni lavorative che precedettero la nascita dei Police, Summers comferma di essere stato la componente più equilibrata del gruppo, quello capace di contenere da una parte il talento musicale di Stewart Copeland, dall'altra di tenere a bada le ambizioni divistiche di Sting,  front man e uomo copertina della band. Così, se il film procede con salti temporali che uniscono in un medley tra passato e presente alcuni dei pezzi migliori del repertorio (ma ogni fan si sa avrebbe qualcosa da obiettare a riguardo, chi scrive in questo caso è rimasto orfano de "When The World Is The Running Down") l'interesse del cinefilo si sofferma sul retrogusto fatalista di alcuni passaggi, in cui Summers fa capire l'inevitabilità di quanto poi si sarebbe verificato con il logoramento dei rapporti personali e di lavoro, e su una malinconia che è qualcosa di più di un semplice rimpianto e che nasce dalla constatazione che il successo a un prezzo quasi sempre insostenibile. Detto questo il film rispetta le iconografie dei personaggi, soprattutto quella di Sting che cannibalizza le attenzioni dello spettatore con un protagonismo che divora il resto della ciurma, evita di affondare il coltello nella piaga (le trasgressioni da rock band sono appena accennate e  inserite in un contesto aneddotico come quello che vede John Belushi incontrato a Bali pronto a far da guida lungo i sentieri dello sballo) e ci propone momenti anche divertenti come quello in cui Summers si ritrova in un bar a fare il karaoke di "Every Breath You Take" insieme a un gruppo di ignari avventori, e ancora corto circuiti emozionali che nel film si verificano ogni volta che la telecamera ci restituisce il colpo d'occhio del back stage con Summers che ci porta sul palco e nei camerini dove si consumano gli attimi dell'ultima avventura. 

 

Confezionato con una fotografia che nelle tonalità scure e nella luce contrastata restituisce con puntualità l'altalenanza dello stato d'animo di chi racconta. "Can't Stand Losing You" fa uscire dalla sala con l'idea che la musica dei Police abbia retto il tempo senza perdere nulla del suo fascino. Non ci stupiremmo se, arrivando a casa, lo spettatore andasse a cercarla per continuare ad ascoltarla.

(icinemaniaci.blogspot.com)

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