Regia di Alan Taylor vedi scheda film
Passato un bel po’ di tempo dalla mia ultima recensione, periodo non particolarmente stimolante e caratterizzato da un fastidioso blocco dello scrittore, seppur di proporzioni infime nel mio caso, mi accingo a riprendere la mia attività puramente evasiva su FilmTv, proponendo delle brevi e dirette recensioni su alcuni dei film da me visionati nel periodo estivo, sia al cinema che in televisione, ma anche più semplicemente su film di cui da tempo avrei voluto parlare e sui quali, per pura pigrizia o semplice inezia, non sono riuscito ad esprimermi, fino ad ora.
Iniziamo dunque dal fondo della bottiglia, ovvero da codesta ciofeca di reboot, o come la si voglia chiamare, dell’ormai consunta e rottamata saga di Terminator, uno dei pochi film che, a netto di tutti i soldi spesi in effetti speciali computerizzati e scene (che DOVREBBERO essere) al cardiopalma, mi ha annoiato come poche volte mi è capitato al cinema. Indeciso come voto finale tra il 3 e il 4, ho deciso all’ultimo secondo di optare per il magic number, avendo saputo con nausea mista a pietà che è piaciuto a certi miei coetanei ignari dei primi due capitoli firmati James Cameron, dunque una prova evidente del marciume che si cela dietro a questo cesso ambulante computerizzato che usurpa il glorioso nome di un manifesto della fantascienza moderna. Mi pare evidente che questo scempio fosse destinato a quella ENORME fetta di pubblico giovanile che snobba la STORIA del cinema in favore dell’ultimo blockbuster con steroidi uscito in sala (scusate l’acidità, ma giusto pochi giorni fa mi sono sentito dire da un “amico” poco più grande di me a cui avevo consigliato la visione di Blade Runner, con tanto di tesina per il diploma scritta dal sottoscritto e grazie alla quale ho strappato un bel 100, che il suddetto filmetto è giusto discreto per l’epoca in cui è stato fatto ma molto molto noioso e privo di action, con aggiunta del fatto che al giorno d’oggi ne fanno di gran lunga migliori. Ora, io non voglio essere cattivo, poverino, sua mamma gli vorrà anche bene, ma venire davanti a me a snobbare il mio film preferito e il migliore di fantascienza che sia mai stato fatto mi fa leggermente incazzare, come si è visto), il quale non fa altro che cercare miseramente di riprendere la trama del primo, inimitabile capitolo per poi introdurne una versione alternativa degna della più fragorosa pisciata che mai sia stata fatta. Trama che non fa altro che ingarbugliarsi e imminchionirsi dietro a paradossi spazio-temporali senza capo né coda, degni del miglior film di quel genio (ma anche no) di Chris “pseudo-intellettuale” Nolan, la quale vorrebbe anche sembrare intelligente e ragionata, ma che in realtà solo spegnendo completamente il cervello la si potrebbe prendere per buona (e io credo fortemente che la stragrande maggioranza del pubblico, forte della convinzione che il cinema sia solo un mezzo di svago e che usare l’intelletto in sala sia un optional, anzi, un handicap, faccia esattamente questo appena spente le luci). Il divo (ma anche non più) Schwarzy non è solo vecchio come vorrebbe far credere, ma anche OBSOLETO (e pure ridicolo quando si mette a fare le faccine con il sorriso a trentadue denti alla Eddie Murphy), e la cosa preoccupante consiste nel fatto che è il migliore dei protagonisti: Emilia Clarke e Jai Courtney, che dovrebbero essere i nuovi Sarah Connor e Kyle Reese, suscitano la mia più sincera pietà, dunque stendiamo su di loro un velo pietoso e cerchiamo di ricordarci i due personaggi con le facce di Linda Hamilton e Michael Biehn. Jason Clarke, nel ruolo ad minchiam dell’antagonista (John Connor metà uomo metà robot non si può vedere) è forse l’unico che riesce a metterci almeno il mestiere, mentre J.K.Simmons si candida al ruolo più inutile dell’anno. Non mi sembra di poter insolentire più di tanto il regista, dato che il suo lavoro è completamente anonimo (forse è stato fatto col pilota automatico) e privo di qualsiasi guizzo stilistico da ricordare. Una piccola nota che vorrei aggiungere, del tutto personale, è la mia insofferenza nei confronti di coloro che inseriscono nei film di fantascienza attuali oggetti come gli smartphone o simili (un tipo di orrore che nemmeno Orwell è riuscito a trasmettere nella sua visione distopica del futuro), seppur per pochi secondi, come nella scena dell’ospedale in cui si viene a conoscenza del piano di Skynet di connettersi al più grande social network mai realizzato per distruggerci tutti. Sarò anche del ’96, ma preferisco tutta la vita il telefono fisso con tanto di cornetta che Sam Lowry usa in Brazil, il videotelefono con cui Deckard parla a Raechel in Blade Runner o le cabine telefoniche attraverso le quali Bruce Willis viaggia nel tempo ne L’esercito delle 12 scimmie, piuttosto che queste merde digitali con tanto di touch screen che calamitano continuamente la nostra attenzione come dei feticci.
Accipicchia, ho speso anche troppo tempo per parlare di questa abnorme vaccata, dunque mi limito a chiudere con la constatazione che, per fortuna, ho già perso quasi ogni ricordo di questa splendida esperienza al cinema, ma che almeno ha avuto qualcosa di positivo: il fatto che mi sono riappacificato con un amico con cui avevo litigato. E se proprio vi manca Terminator, piuttosto che andare a vedere il prossimo sequel/remake/prequel/reboot/tritamento di balle, fatevi il favore di riprendere in mano i primi due fantastici capitoli e siate contenti così.
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