Regia di Alan Taylor vedi scheda film
Terminator Genisys è il quinto capitolo di una saga divenuta culto grazie al primo e al secondo episodio prodotti, ideati e diretti dal grande James Cameron; la “serie” ha poi bivaccato con un mediocre e banale terzo episodio a cui il nostro divo ha preso parte svogliatamente, probabilmente con la mente altrove, già addentro all’avventura politica che lo ha reso Governatore di uno dei più grandi e significativi Stati d’America; ed un quarto tardivo episodio, già più accettabile rispetto al precedente, con un cast tuttavia completamente eterogeneo ed estraneo al nucleo originario della vicenda.
Questo “Genisys”- che ritrova Schwarzenegger nel pieno della sua nuova avventura hollywoodiana, rimesso in sesto e decisamente più in forma rispetto a come appariva, bolso e un po’ affaticato, nei primi (spesso mediocri) film girati nell’ultimo triennio, a ridosso della fine della sua avventura politica – non è un vero seguito come gli altri, ma un cosiddetto “Reboot”: una rivisitazione della vicenda iniziale, motivata qui dallo stesso “ritorno al passato che dal 2029 ha portato indietro sino al 1984 il micidiale cyborg T-800, ma pure il valoroso inviato pronto a sacrificarsi per la causa, mandato nel passato dall’eroe della resistenza del futuro, quel John Connors che tenta di salvare la vita della madre, e di conseguenza la sua, dalle malefiche intenzioni distruttrici delle micidiali maligne macchine dagli occhi rosso morte, che nel futuro prossimo dominano una civiltà post-apocalittica da incubo.
Un nuovo inizio dal passato e non più dall’oggi dunque, dove tutto è un po’ cambiato, a partire dal cattivo, dotato dei poteri sofisticati che si intravedevano nel buon seguito di Cameron (qui aggiornati dal progresso raggiunto dagli effetti speciali nel corso di oltre vent’anni), con viaggi temporali e paradossi che fondono quasi i primi due episodi in un’unica nuova storia preparata per la fruizione a vantaggio delle nuove leve, i ragazzi che non ebbero anagraficamente la possibilità di emozionarsi al cinema in occasione delle prime due uscite in sala.
Una nuova Sarah Connors (la Emilia Clarke divenuta star grazie al ruolo di Daenerys ne Il trono di spade), più giovane e più guerriera, già formata ed addestrata dalle circostanze narrative che vi verranno spiegate se deciderete di vedere il film, l'aitante Jai Courtney, ormai presenza fissa nelle superproduzioni a stelle e striscie, l’attore feticcio di Kim Ji-woon, Byung-hun Lee nei panni del micidiale e sofisticatissimo nuovo cattivissimo cyborg, l’ottimo Jason Clarke nei panni di un maturo leader di nome John Connor, attore carismatico, quasi shakespeariano, che insegue il doppio binario del cinema d’autore e del blockbuster (Apes revolution tra questi ultimi) con abile disinvoltura, ma altrettanto bene quello dell'uomo onesto o cattivissimo, a seconda della parte scelta, o almeno ambiguo ed ambivalente, come in questo ultimo caso.
E Schwarzy? Meno male che c’è lui: la sua massiccia presenza è quanto meno rassicurante in questa nuova non proprio entusiasmante rinverdita formula. Eccolo sdoppiato, ringiovanito dal computer per interpretare il Y800 originario e quello buono, invecchiato "epidermicamente" ma riprogrammato per la buona causa come sappiamo dal sesììnsazionale episodio nr. 2.
L’unica vera, genuina emozione la proviamo a pelle rivedendo la ricostruzione fedele dell’episodio iniziale originario, quello dell’apparizione psichedelica tra lampi e saette del Terminator nella notte, dove l’immagine minacciosa, ma anche un po’ in soggezione del divo giovane (anzi, ringiovanito dal computer) e nudo, rivive i suoi pochi secondi di nuova vita, permettendo a noi vecchi fans di ripensare e rivivere impagabili attimi fuggenti di meraviglia e ricordi indelebili di un capolavoro che nel 1984 lanciò un super regista e rinverdì con intelligenza e genialità un genere che sembrava andarsi svuotando.
Il resto è un molto caotico e roboante via vai temporale che oggi pare tornare in voga come negli anni '80, una raffica di esplosioni e di inseguimenti solo inizialmente mozzafiato, ma che finiscono poi inesorabilmente per stancare, come durante una troppo lnga sosta tra i saliscendi delle montagne russe di un luna park-
Il regista Alan Taylor, che aveva iniziato intimista, arguto e sofisticato con "Palookaville" e "I vestiti nuovi dell'Imperatore", dopo il secondo Thor della Marvel pare essersi affezionato irrimediabilmente alle ragioni (e ai cachet) del blockbuster, tanto da rimanervi imprigionato in questo trionfo di effetti ed esplosioni, solo in parte accettabile e digeribile.
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