Regia di Robert Schwentke vedi scheda film
Rifare qualcosa che funziona fino allo sfinimento è uno dei dettami che Hollywood segue con più puntiglio, fingendo d’ignorare che raramente il successo si ottiene su ricetta. Ma la regola, nel filone “saghe teen”, svela un attrito di duplice ipocrisia: da un lato, dopo il languore adolescenziale di Twilight, si corteggia la distopia politica per sublimare tutta l’insofferenza giovanile nei confronti di adulti e istituzioni; dall’altro, mentre a parole si istiga alla ribellione, alla presa di posizione e al pensiero critico, il risultato affoga nella ripetizione più conservatrice di contenuti e messa in scena. Così Insurgent non ha alcunché di sovversivo, nemmeno per sbaglio, soffre un po’ (ma neanche troppo) della “sindrome da capitolo intermedio”, mentre il Robert Schwentke di Red (assunto evidentemente per aumentare l’adrenalina latitante in Divergent) si aggrappa agli occhi enormi e carismatici di Shailene Woodley, ai suoi dolori di crescita e all’abusato conflitto interiore del «chi tocco muore». Il punto è che lo specchio scuro della fantascienza, qui, conta molto meno del fascino da esperienza videoludica: ogni film è accesso a un livello nuovo, all’interno del quale ci si muove secondo schemi consolidati dai giochi di ruolo e strategia. Lo script di Insurgent si inventa addirittura un McGuffin/scatola magica che rende il trucco quasi meta: spudorato ma efficace, tiene teso almeno il filo della tensione.
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