Regia di Dario Argento vedi scheda film
C'è un'idea infantile dietro questo film. Non so se la vedo solo io, o l'ha avuta pure il regista. Ma l'impianto della storia (molto semplice e lineare), le scenografie che ricordano le case delle bambole, i colori esagerati, il bosco e il suo mostro misterioso... Insomma tutto questo ci catapulta in un universo di paure primitive che vengono trattate autorialmente dal regista romano. La suspence è esasperatissima e questo oggi forse non sarebbe più possibile: strano allora che i film di Argento fanno ancora oggi scuola in giro per il mondo, e la critica italiana non vuole ancora ammetterlo. La Valli è straordinaria, e anche la piccola incursione di Udo Kier è efficace per dare al film quell'atmosfera di terrore silenzioso che le protagoniste vivono ogni giorno ed ogni notte. Forse siamo nei dintorni dell’introspezione psicoanalitica dalle connotazioni sessuali, o forse no. Fatto sta che l’intrusione del mostruoso al femminile in un ambiente per definizione castrante come una scuola privata e teutonica gestita da donne ferree come le camicie grigie di Hitler, assomiglia alla discesa infera della protagonista nel suo rapporto adolescenziale con il suo sesso. Questo per via della regola horror per la quale il percorso attraverso delle difficoltà terreficanti e l’incontro con il perturbante sottoforma di mostruosità abolita e bandita dalla morale sono dopotutto la metafora di una conoscenza/scontro con il proprio sesso. Eppure nel capolavoro horror argentiano non ci sono tanti indizi che farebbero pensare ad un viaggio inconscio intorno alla propria sessualità. C’è la casa (segno materno o comunque femminile, oltre che simbolo di sicurezza e ordine istituiti), che è però più una casa per le bambole, quindi rimanda ad un subconscio infantile fatto di rimozioni e spinte primitive poi placate. Ma ci sono anche il cameratismo femminile, che però non concede nulla né al vouyeurismo né al lesbismo latente, e un sacco di armi bianche, da coltellacci a mannaie a vetri rotti e aguzzi, che possono, freudianamente alla lontana, ricordare un cattivo rapporto con il membro maschile. Oppure niente di tutto questo, ma semplicemente una straordinaria storia di paure ataviche dalle numerose interpretazioni dettate dall’inconscio: prova questa della gigantesca cifra autoriale di “Suspiria”.
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