Regia di Peter Yates vedi scheda film
Peter Yates conferma di essere un ottimo professionista. "Suspect" è un legal thriller con i fiocchi. Sceneggiatura credibile, compatta e scorrevole (di Eric Roth, futuro premio Oscar per "Forrest Gump", ma autore anche degli eccellenti script di "Insider" e "Munich" per i quali ha avuto altrettante nomination agli Academy Awards, oltre che dello splendido "L'uomo che sussurrava ai cavalli"), messa in scena asciutta e senza fronzoli, ritmo teso, senza mai una caduta, colpi di scena, soprattutto l'ultimo e più importante, ben calibrati e convincenti. Attori in gran spolvero: non solo la brava ed intensa Cher (ottimamente doppiata da Maria Pia Di Meo), all'epoca all'apice della sua carriera cinematografica (nello stesso anno, il 1987, girò infatti anche "Le streghe di Eastwick" e "Stregata dalla Luna" per cui vinse l'Oscar come migliore protagonista), e qui al suo meglio nei panni di un'avvocatessa determinata ma anche i suoi quattro eccellenti partner maschili (Dennis Quaid, Liam Neeson, Joe Mantegna e il giudice John Mahoney) non scherzano. Lodevoli e necessarie le intenzioni di denuncia sociale (la condizione dei senza tetto in quel di Washington, illuminante in questo senso l'arringa iniziale di Cher, certe leggerezze nella gestione del potere giudiziario, le contrattazioni di voti all’interno della classe politica congressuale), ben integrate con il resto della trama. Attento ed approfondito lo studio dei personaggi: in particolare l'avvocato interpretato da Cher, giovane donna che non sa più cosa vuol dire avere una vita privata dal momento che "passo tutto il mio tempo tra assassini e violentatori" e il "presunto colpevole" Liam Neeson, reduce del Vietnam, che ha trascorso diversi anni in un ospedale per veterani dove è stato colpito dalla meningite a causa della quale è diventato sordo muto, abbandonato dalla moglie e ridottosi ad elemosinare per strada. Non scontate certe velenose frecciate al modo di operare delle forze dell'ordine, non sempre all'altezza dei loro compiti (una guardia carceraria, mentre consegna l'accusato all'avvocato per uno dei primi colloqui, afferma duro: "Le bestie si ammazzano"). Yates poi di suo aggiunge efficaci sequenze di suspense (il finale notturno alla Corte di giustizia con Cher inseguita dall'assassino), evita che la parentesi romantica si mangi il film, offre un ritratto non proprio consolatorio delle stanze del potere, alleggerisce la trama con sapienti dialoghi, pennellati di vivace ironia, degni della migliore commedia sofisticata della Hollywood dei tempi d'oro (valga per tutti, per esempio, il primo, frizzante, confronto tra Cher e Dennis Quaid, in sede di selezione della giuria, in cui i due si rinfacciano simpaticamente come un avvocato sia sostanzialmente un azzeccagarbugli, mentre un consigliere del congresso, a conti fatti, un portaborse, ma simpatica anche la battuta di Quaid sul vero colore dei capelli di Cher). Eccellente per tensione la sequenza in biblioteca, quella in cui Cher, battendo la matita sul tavolo avvisa Dennis Quaid, che sta collaborando con lei alle indagini in modo del tutto illegittimo, che nella medesima stanza si trova il giudice che presiede il processo. Gustosa invece la scena dello scambio alla pari tra il personaggio di Dennis Quaid e un barbone (scarpe e calzini in cambio di una spilla). Da applausi la battuta: "Vostro Onore la difesa chiama Vostro Onore a deporre!" con tanto di conseguente serrato confronto. Lucida ed illuminante invece una sarcastica affermazione del sottosegretario alla giustizia: "Chiunque è tuo nemico, ma non sarebbe da furbi andare a cercarli!". A volere essere oltremodo pignoli ci sono due elementi, a livello narrativo, che paiono forzati e/o semplicistici. Innanzitutto il modo in cui l'avvocato della difesa scopre occasionalmente nell'autoradio della vettura della vittima, ancora parcheggiata là dov'era la sera del delitto (ma non avrebbe dovuto essere quanto meno sequestrata?) l'audiocassetta in cui il giudice suicida confessa le sue malefatte e le corruzioni di cui è stato protagonista. In secondo luogo la repentina fuga di Dennis Quaid dal luogo di isolamento in cui si ritrova con il resto della giuria per ordine del giudice ed il suo provvidenziale salvataggio dell'avvocatessa in pericolo (e non è la prima volta). Ci si passa però tranquillamente sopra, per come lo spettacolo prende alla gola. Ottimo infine il cast di collaboratori: fotografia del premio Oscar (per "Gandhi") Billy Williams; musiche originali di Michael Kamen (nomination all'Oscar per "Robin Hood Principe dei Ladri" e per "Don Juan de Marco"); montaggio di Ray Lovejoy (nomination agli Oscar per "Aliens - Scontro finale"); scenografie di Stuart Wurtzel (nomination per "Hannah e le sue sorelle"); costumi di Rita Ryack (avrebbe poi firmato, tra l'altro, i geniali abiti de "Il grinch" con tanto di nomination anche per lei). Un giallo vecchio stampo, dunque, che rispetta con estrema intelligenza le regole del genere, senza voler strafare, riuscendo così ad appassionare e coinvolgere per due ore, senza che si guardi mai l'orologio. Ed è questo il suo più grande merito. Godibilissimo per gli amanti del genere, ma non solo. Piccola curiosità: Dennis Quaid aveva già lavorato con il regista nel 1979 nel bel "All American Boys". Girato a Toronto in Canada e a Washington, distretto di Columbia. 20 milioni di dollari al box office americano, solo 70° nella classifica generale italiana. Frase di lancio internazionale: "Non importa il costo. Non importa il pericolo. Troveranno la verità". Voto: 7+
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