Regia di Matthew Vaughn vedi scheda film
“I modi definiscono l’uomo”.
Anche nel mondo del cinema, spesso e volentieri.
Prendiamo ad esempio, questo Kingsman - Secret Service.
Si distingue fin dalle prime scene grazie allo charme micidiale, mutatis mutandis, dei vari Kingsmen che ci vengono presentati e della loro più temibile avversaria (la suadente “Gazelle” S.Boutella).
Ma anche il bulletto (fra i bulli), a modo suo, non scherza. Vestiario da perfetto b-boy e senso del ritmo che gli bolle nelle vene (vedasi la scena della fluida fuga da casa sua) lo rendono uno esponente stllosissimo della cultura underground. Per di più spaccone e irruente fino al midollo, eppure sistematicamente dalla parte del giusto (il che radica sempre più in profondità i pregiudizi verso la stereotipata figura del giovane eroe contemporaneo, che sa sempre come emergere dagli slums… più per demerito altrui che per meriti propri a ben vedere), risulta, evidentemente, la cavia ideale per un esperimento che sa di provocazione: coniugare l’aplomb dello spionaggio vecchia scuola con l’esuberanza tutta livore e buoni propositi della gioventù emarginata di periferia.
Il risultato, tuttavia, deliberatamente ibrido, non convince appieno.
Più ci si avventura fra i (sadici) meandri della narrazione e più questa perde colpi (ma non quelli furiosamente tirati a destra e manca dall’inizio alla fine) e smalto (un’incrostazione d’antan difficile da rinnovare, verrebbe da pensare). Il buon gusto delle buone maniere dei salotti londinesi che contano degenera, infatti, in un gusto dubbiosissimo, che raggiunge il suo apice nell’improponibile acconciatura imposta al giovane kingsman (vestito da damerino emulo del suo mentore non si può proprio vedere!) e nella lascivia che non t’aspetti da una boccuccia tanto principesca...
Convincono, a dire il vero, molte delle riprese delle scene d’azione, studiate per stupire anche gli aficionados del cinema di G.Ritchie (quello degli Sherlock Holmes per intenderci), ma spinge nel verso opposto la carica debordante di truculenza spesso gratuita (ergo inspiegabile) che tali scene sempre essa macchia. Truculenza che non va molto a braccetto con la nonchalance del savoir faire di cui vorrebbe ammantarsi il film. Si cerca, allora, di affogare il tutto nella goffaggine che vira sul goliardico, ma il grottesco imbrattato di sangue “hipster” (per la scelta di forme e colori, non per la sua “provenienza”) è una pietanza dal retrogusto troppo aspro per suscitare una qualche forma di accondiscendenza.
In conclusione, il deficit nel bilanciamento fra generi (comunque non sempre serviti, questi ultimi, con la classe che ci si aspettava per ciascuno di essi) disorienta e (un po’) delude. Peccato.
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