Regia di John Crowley vedi scheda film
Dopo aver visto questo film mi sono chiesto, perplesso: ma se il film si fosse chiamato Manhattan; o Staten Island, o Queens, o Bronx non sarebbe stato lo stesso?
Perché proprio “Brooklyn” per un film che, fra l’altro (vedasi più infra), parla (da un lato) di legame (spezzato) con la propria terra natia (l’Irlanda) e (dall’altro) di un nuovo legame con una terra di adozione, che è semplicemente l’America, in una delle sue tante declinazioni urbane che la compongono?
E che parla soprattutto di una storia d’amore fra una giovane irlandese (non ancora brooklyner) ed un giovane ragazzo di origine italiana (più che brooklyner, un autentico italoamericano).
Perché il terreno dove questa storia germoglia è importante, ma da come viene rappresentato nel film di J.Crowley poteva essere Brooklyn come, appunto, qualsiasi altro agglomerato urbano a stelle e strisce.
Ma la risposta è presto detta: l’esilità ed indeterminatezza della storia impediva di trovare un titolo qualsiasi appropriato, per cui si è optato per un criterio geografico.
Ad ogni modo, al di là di questo equivoco di fondo - che però non è irrisorio e mi ha leggermente indisposto (proprio perché io volevo proprio vedere come quel pezzo di città potesse condizionare le scelte di vita ed i destini dei suoi abitanti, vecchi e nuovi) – il film non è completamente indigesto. Realizzato con discreta professionalità, io l’ho trovato però molto, molto impostato ed anche un po’ chic; pulito, ordinato, composto e (dispiace) un po’ algido. Saoirse Ronan è un’attrice sempre molto brava, ma qui il personaggio non scalda i cuori, né (se vogliamo) li sbrina, anzi (la protagonista è una caricatura della donna perennemente in ambasce, sempre infelice, sempre tormentata; mc 5); l’italoamericano di cui si innamora è simpatico ma senza esagerare. Tutto il contorno di personaggi e comparse fa il suo dovere, ma nei limiti imposti dalla sceneggiatura, molto semplice (totalmente incomprensibile la candidatura a migliore sceneggiatura non originale).
Insomma, è un film che inganna nel titolo e non compensa neanche con la storia, che finisce per dare predominanza alla relazione affettiva fra i 2 giovani su altri sentimenti legati al dramma del distacco ed alla perdita. Ma a sacrificare la carica emozionale del (melo)dramma concorre altresì la volontà di nascondere le debolezze ed esaltare (pur sempre con modi eleganti) l’algida, impavida energia e determinazione americana (stavolta applicata ad una self-made woman di altre origini), condizione unica per il riscatto e la conquista di una condizione sociale. Ecco, il connubio fra una singolare, interculturale storia di amore (da un lato) e l’elogio del combattivo spirito di volontà ed affermazione (USA all’ennesima potenza), inserito in una cornice (di regia, caratterizzazioni e tutto l’insieme) classica e fredda, intiepidisce il giudizio e di molto.
Certamente da non vedere se lo scopo (anche solo quello secondario) è quello di esplorare e conoscere il più popoloso Distretto di New York, uno scorcio dietro l’altro (fatta eccezione per Coney Island e Brooklyn Heights, solo di sfuggita).
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