Regia di Jacques Demy vedi scheda film
La baia degli angeli si distende a perdita d’occhio davanti al corpo magro e dopotutto misterioso ma scarno di Jeanne Moreau, in quella splendida inquadratura iniziale che si allontana suo malgrado dalle di lei fattezze per raggiungere luoghi indefiniti. Tipica inquadratura da Nouvelle Vague per un tipico film da Nouvelle Vague. Peccato che poi lo sguardo di Jacques Demy si ammorbidisca per fare una semplice e un po’ frivola cronaca di una doppia dipendenza condivisa. Jean e Jackie non hanno il maledettismo dei menage à trois truffautiani né la giocosità dei menage à trois godardiani, sono semplici esseri colti nel loro continuare a sfidare la sorte, senza problemi né veri interessi. Entrambi si trascinano in avanti quasi inerti, sonnacchiosi, privi di vitalità. Lui nel tentativo di liberarsi dalle grinfie di un padre che l’ha sempre costretto alla vita di “ragazzo per bene”; lei perché è diventata una sorta di fondamentalista della religione “gioco”, in cui i soldi davvero a momenti servono solo per andare avanti, senza compromessi né altre utilità di sorta. Fuori dalla realtà. A momenti di fortuna sfacciata si alternano momenti meno fortunati: è il volere di Dio, dietro quella roulette rotonda e ipnotica? Il leitmotiv che si ripete ogni qual volta loro due giocano e poi – alla fine – anche in altre circostanze, lascia intendere la futilità di quei gesti, di quei comportamenti, mentre loro due diventano sempre più imprevedibili, così come i numeri, e si disperdono nel Caso del vivere giorno per giorno. Scalando tutte le classi sociali, passando in un solo giorno da ricchi a poveri ad ancora ricchi, accompagnando questo loro ottovolante esistenziale amandosi e stando vicini l’uno all’altra, accettando i metodi dell’altro, nel dubbio costante che più che amarsi si utilizzino a vicenda per portare a termine i loro scopi, che siano essi puramente scaramantici o meramente pratici. L’ambiguità di fondo di questo rapporto, però, non desta troppo interesse nello spettatore (benché a tratti raggiunga vette discrete di tenerezza), spettatore che si accorge a malincuore di arrabbiarsi con i protagonisti se i numeri giusti non escono, senza mai arrivare però a provare vera empatia o simpatia nei loro confronti: nel non prendere posizione Demy evita il moralismo, non mira a guardare un ossessione dall’interno né a trattarla con la (dovuta?) pesantezza, ma la conseguenza di questa leggera ignavia è il non andare a parare, a momenti, da nessuna parte, il lasciare un vuoto proprio in corrispondenza di ciò che vuol dire e vorrebbe far trapelare il film. Senza arrivare a dire che è insignificante, ma arrivando a dire che è un po’ tirato via, succube di una leggera superficialità, che non richiede né grande genio da parte dello sceneggiatore né un grande stile (che però, se c’era, poteva anche fare un capolavoro) da parte della regia, La baie des anges è a rischio, potrebbe scivolare nell’oblio.
Non si può dir deludente, ma certo ci si poteva aspettare di più. Oltretutto non si capisce davvero se il finale sia affrettato perché nel dubbio non si sapeva come concludere la storia, o se sia proprio coerente perché la storia non c’è e quei personaggi cambiano idea velocemente così come il caso fa cambiare il destino della pallina della roulette. Una cosa, in questo secondo caso, però, è certa: quel lieto fine non durerà a lungo, nel “reale” svolgimento degli eventi.
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